giovedì 29 maggio 2008

Ormai è terrore...



Saggezza popolare vista per strada.... (a Viareggio, per l'esattezza)

domenica 25 maggio 2008

La Nazionale Italiana di calcio contro Syd Barrett - Riciclo 2

Altro articolo vecchio ritirato fuori dal cassetto e, dopo revisioncina, pubblicato.

Forza Syd!


LA NAZIONALE ITALIANA DI CALCIO E SYD BARRETT

Storia di un conflitto pluridecennale.


Riuscite a immaginare due cose più lontane tra di loro della catenacciara, sparagnina, opportunista e furbetta Nazionale italiana, e la fantasia libera e gioiosa, refrattaria alle dinamiche dell'industria musicale dell'artista Syd Barrett?

Da una parte la rappresentativa pallonara azzurra raramente ha offerto calcio spettacolare, raramente è entrato nel cervello dei suoi allenatori e giocatori che vince chi gioca "bene", e che "bene" può anche significare "bello": in fondo, per fare bel calcio devi essere bravo, e chi è bravo vince.
Macché, nulla di tutto questo, salvo rari casi: un Rivera o un Baggio ogni tanto, un Mazzola o un Bruno Conti come scogli che emergono da una storia fatta di squadre concrete, efficaci, preparate sì, ma sempre più attente intanto a non prenderle e poi si vede, prima il risultato poi, forse, il resto. E certo, quattro titoli mondiali, ma due nella notte dei tempi e due contro ogni previsione, frutto di sorprendenti miracoli contro squadre di ben altra levatura (dal vago sapore di fregatura ai danni di queste) nell'82 e di un calendario fortunato stavolta, superato comunque con più di qualche patema e grazie alla necessità di dover salvare la faccia, oltre che col solito gioco stentato.

Dall'altra l'ex-leader dei Pink Floyd, artista che un tempo sorrideva sul mondo con gioiosa follia e che mal si adattava ai meccanismi stritolatori dell'industria discografica e alle sue pressioni, praticamente l'opposto (un'altra musica, è il caso di dirlo).

(Il resto, la retorica del maledetto bruciato dalla sua stessa eccezionalità, col suo ovvio contorno di facili riduzioni alla semplice questione droga degli squilibri che lo portarono prima ad essere allontanato dai Pink Floyd, e successivamente al ritiro nel totale isolamento, è pura spazzatura: Syd Barrett era personalità fragile e afflitta già dall'infanzia da qualche turba, "preso nel fuoco incrociato dell'infanzia [nel senso di innocenza] e della fama", che non resse lo stress di un ambiente il quale, una volta scoperto che gli spontanei parti della fantasia del giovane fruttavano grana sonante, voleva metterlo a produrre uova d'oro a cottimo. E come la gallina della famosa fiaba fu uccisa dall'avidità di un padrone miope che non sapeva accontentarsi di quanto l'animale produceva spontaneamente, Barrett (aiutato anche dalle droghe, certo, ma non solo) intraprese il percorso di nevrosi che il suo ex-bassista Roger Waters ha mirabilmente delineato in The Wall. E il fatto che, contrariamente a certe voci, una volta abbandonata l'industria discografica se ne sia stato tranquillo dimostra che forse le colpe dell'LSD questa volta sono relative, e che riuscire a pensare contemporaneamente all'arte e al denaro è un talento che non hanno tutti.)


Una squadra e un artista del genere, pur agendo in due ambiti apparentemente incomunicabili, non potevano che essere in conflitto: e infatti un confronto tra le date dimostra che, in qualche modo, anche a distanza, si sono fatti guerra davvero, e che i trionfi dell'uno coincidevano con gli smacchi dell'altra.

Leggere per credere:


1962: Intorno a quest'anno Syd Barrett sta imparando a suonare la chitarra che diventerà il veicolo principale della sua arte. La Nazionale Italiana in qualche modo lo sa e in Cile viene eliminata a cazzotti da una squadra più brutta e cattiva di lei (quasi un contrappasso).

1966: I Pink Floyd stabilizzano l'organico, suonano stabilmente in giro e trovano un manager e un contratto discografico, quindi l'Italia rimedia la storica figuraccia della sconfitta contro la Corea.

1968: Syd Barrett comincia a dare segni di squilibrio e il 6 aprile è ufficialmente fuori dai Pink Floyd. Due mesetti scarsi dopo, l'Italia vince il campionato europeo di calcio, un po' a fatica: ci vogliono una monetina fortunata e una finale ripetuta due volte, segno che le sue sorti e quelle del musicista inglese devono alternarsi per forza.

1970: Barrett pubblica non uno ma DUE dischi da solo, e suona anche nelle Peel Sessions alla BBC. E così la Nazionale Italiana, nonostante abbia in squadra non UN campione del calibro di Mazzola o Rivera bensì TUTTI E DUE, e nonostante sia forte al punto di compiere la storica impresa del 4-3 alla Germania Ovest, perde la finale contro il Brasile (si, ok, c'era Pelè, ma sicuramente è stata colpa del momentaneo ritorno di Barrett).

1972: Syd, pur senza molto successo, riprova a suonare dal vivo. L'Italia di calcio, perciò, non ritiene opportuno bissare la precedente bella prova al campionato europeo e va fuori ai quarti.

1974: Eliminazione tristarella per la Nazionale italiana ai mondiali di Germania, non particolarmente eclatante. Barrett perciò l'anno dopo si fa rivedere dai suoi amici del gruppo, che hanno appena finito di registrare Wish You Were Here.

1978: Bilancio contrastante per Barrett: Roger Waters praticamente gli scrive un disco, il suddetto The Wall (che uscirà l'anno dopo), ma pur di farlo di fatto spacca i Pink Floyd. E anche l'Italia fa una buona figura ai mondiali Argentini, ma la eliminano prima della finale.

1982: Dopo che il musicista aveva provato a tornare a vivere a Londra, tornandosene dopo poco tempo a casa, e dopo anni che non rilasciava interviste, due giornalisti lo scovano e lo sputtanano per mezzo mondo, pubblicando foto che lo mostrano grasso e pelato e riferendo conversazioni sconnesse. Uno scoop probabilmente falso, almeno in parte, ma talmente clamoroso che l'Italia, dopo 44 anni rivince un mondiale.

1984: Esordisce il gruppo scozzese Jesus and Mary Chain con un singolo che ha sul lato b una cover dell'inedita Vegetable Man di Barrett. L'Italia campione del mondo neanche si qualifica agli europei di Francia.

1988: Esce la raccolta di inediti di Syd solista Opel attesa da anni, e l'Italia si fa sbattere fuori dalla nazionale di un paese, l'URSS, che due anni dopo cesserà di esistere.

1990: Nessuna notizia di Syd Barrett. L'Italia gioca i campionati del mondo in casa, e non sapendo bene cosa fare in semifinale ci arriva, ma poi perde ai rigori con l'Argentina.

1992: A Syd Barrett offrono 75.000 sterline per incidere quello che gli pare, e il signore declina. Però ristampano i suoi album con aggiunte, e perciò l'Italia all'europeo nemmeno si qualifica.

2001: Antologia di Syd Barrett con una canzone inedita, in realtà nota da anni sui bootlegs. L'Italia prova a scongiurarne l'uscita arrivando in finale agli Europei del 2000, ma si fa beffare dalla Francia. Il disco esce, e perciò la Nazionale ai mondiali dell'anno dopo si fa eliminare un'altra volta dalla Corea (Moreno non c'entra nulla, probabilmente preferisce i Pink Floyd di Waters).

2006: Si chiude tristemente questa storia: Syd è malato di diabete, l'Italia trova chissà dove la forza di vincere il mondiale e, come spesso succede nella vita reale, la bruta concretezza vince mentre la fantasia, l'arte (sia pure ferme da decenni) devono abbandonare la realtà. Ahimè...



Ma la sua musica ha contagiato migliaia, milioni di artisti, in tutto il pianeta. E ai prossimi campionati del mondo sapremo quale nazione ha appreso più volentieri la lezione del magico pifferaio di Cambridge: Italia occhio, Syd è ovunque....

giovedì 22 maggio 2008

Elegia del rock di provincia - Riciclo 1

Nonostante io scriva col contagocce, ogni tanto mi parte la logorrea, e riesco addirittura ad avere degli articoli, o genericamente degli scritti, inediti.
Se no di solito languo, poltrisco e arranco: così, gli inediti tornano bene, perché da una parte nutrono il blog, dall'altra il blog dà loro la possibilità di essere letti (del tutto teorica: non ho idea del numero di visite che ricevo, ma tra me e Grillo non ci separano solo alcuni punti di vista, mi sa...).

Così, rivogo questo vecchio scritto, in cui tessevo le lodi del rock che ho sempre suonato: quello di base, quello marginale, quello squattrinato (ma mi rifarò con gli interessi: garantito che tra un anno all'Olimpico di Roma ci saranno un centinaro de mila persone adoranti, mettice la firma, che mi degnerò di accontentare solo se avrò finito gli scrutini: sono una persona (quasi) seria io, mica no). L'articolo nasceva da un concerto col gruppo precedente ai due con cui suono ora, in un'estate 2005 che non si era ancora colorata di buio pesto.

Così, eccolo:

CLEVELAND (OHIO) COME VARALLO POMBIA.

"Nel villaggio globale non si è più niente (...) l’unica cosa che ti collega al passato è la terra, dove ci sono le colline che ti osservano, dove ci sono le montagne che dominano, dove il vento soffia, dove ci sono gli alberi e i frutti, dove cresce l’erba. Tutte queste cose sono le uniche che non ti mentono mai" (David Thomas, intervista a Blow Up)

"Il rock consiste per lo più nel trasportare grosse scatole nere da una parte all'altra della città con la macchina" (Pere Ubu)

Sarebbe facile, arrivando per suonare in questo paese del Piemonte tra le colline e i fiumi, credere che qui non conoscano la consapevolezza fatalistica e ironica dei Pere Ubu; o che Ziggy Stardust sia arrivato soltanto come un'altra rockstar qualsiasi lasciando nei boschi circostanti lo specchio che un giorno mise davanti a quelli come lui, togliendogli buona parte dell'innocenza. Facile credere che qui il rock significhi ancora semplicemente corde pelli e valvole per la libertà, una fuga con rivoluzione in pochi accordi.

E' facile pensare che qui in provincia le novità arrivino poco dimenticando, oltre al villaggio globale, anche il fatto che in Italia qualche Michelangelo, se non da Pittsburgh, veniva da un paesino di nome Caravaggio, che il più grande poeta veniva da Recanati e Leonardo veniva da Vinci (e qui a Varallo P., per esempio, ci è nato Bertinotti...).

Quanto al rock, però, se si eccettua qualche cover più recente o più scafata, il nostro gruppo e quello dei ragazzi che gentilmente hanno risparmiato ai nostri amplificatori un viaggio di 400 km. sono sempre sulle covers, e per lo più anni '60-'70 come dei veri provinciali del rock.

Ma la provincia è uno stato mentale che alligna anche nelle metropoli, piene infatti di gruppi come i nostri. E hai voglia a dire che fare musica propria copiando i Television è un passo avanti rispetto a fare covers di Rolling Stones, Lou Reed, Iggy Pop, ecc..: sarà vero, ma non si può neanche dedurne che questa New York musicale sia poi tanto "new".

Provincia come luogo dello spirito, che neanche significa necessariamente conservazione e immobilismo, anche se è vero che ascoltare le canzoni degli Stones ha fatto sognare fughe, ma suonarle difficilmente ti porta lontano.

E poi come ignorare la poesia infinita di questo rock marginale, di base, fatto di spostamenti delle scatole nere nei luoghi dei concerti -per lo più improbabili e improvvisati-, degli amici convocati a forza al concerto (se suonano poi andrai tu a sentire il loro), del "finalmente il palco!", della felicità di una batteria che pesta alle tue spalle in una cover di Queen Bitch, mentre l'amplificatore trasferisce nell'aria col colore elettrico della furia le strutture create dalle tue dita, trasformandole da piccoli gesti silenziosi tracciati sul manico dello strumento nella grinta di un suono che, miracolo!, sembra quello dei dischi che hai adorato?

Anche la fuga è uno stato mentale, e nemmeno obbligatorio: può tradursi in uno sguardo diverso alla cittadina in cui vivi tutto sommato bene, perché riesci a goderne i pregi e a superarne i difetti. Può bastarti quell'attimo davanti al pubblico ogni tanto senza dover vendere per forza milioni di dischi o andare in città (magari a rischiare il destino di Syd Barrett...).

E quando la sera dopo vedo il gruppo dei nostri amici che, dopo aver -guarda caso- aperto il concerto proprio con Ziggy Stardust, radunano sul palco tutti i membri dei loro vari gruppi per una jam finale, quando vedo il secondo batterista che si mette in piedi accanto all'altro e comincia a pestare selvaggio sul timpano l'attacco di Sympathy for the Devil come se col tam-tam chiamasse a raccolta tutta la giungla, non sono più da nessuna parte, tra le scatole nere e le colline non c'è più nessuna differenza, e in testa cominciano a risuonarmi le parole di un'altra canzone: Hey hey, my my...

mercoledì 14 maggio 2008

Io e il Creatore

Io a Dio non ci credo. Ma non come il bambino presuntuoso della battuta, quello che diceva "Credere è una parola grossa, diciamo che lo stimo molto": no, proprio non ci credo, e pure come stima pochina.

Lui lo sa; e ci si incazza. Anzi, ci si incazzava perché negli anni il furbone ha cambiato strategia.

Il quale furbone, coLui che tutto move, aveva pochissime speranze da subito: sono cresciuto in una famiglia più o meno atea, e andavo in chiesa solo a Natale e a Pasqua, con i cugini, come tradizione e cosa sociale, e perché la chiesa era sotto casa (la mitica Santa Maria in Publicolis, nel quartiere ebraico, dove la mia famiglia ha abitato a varie riprese pur essendo gentile, il che già indica un rapporto con la religione un po' sui generis), e dopo giocavamo un po' in strada, tempo permettendo. Finita l'infanzia, finì pure questa tradizione.

Così l'Onnipotente-ma-evidentemente-non-Onniscente cominciò coi metodi subdoli: verso i 9 anni, due dei tre cugini con cui scendevamo a messa a Natale fecero la festa per la comunione. Io e my sister andammo, rimanendo basiti davanti ai numerosi regali che i due avevano ricevuto come celebrazione del loro ingresso nella comunità dei fedeli in Cristo.
Davanti a tanta copia, materialisticamente e poco -molto poco- religiosamente, 'sta comunità comincia a sembrarci interessante: così chiediamo notizie e veniamo a sapere che il biglietto di ingresso consiste in tre, dico 3, anni di catechismo. Un'eternità... ah, ah, ah...

L'entusiasmo, di conseguenza, scema, e a questo punto mi pongo la grande domanda: ma io a Dio ci credo o no? Perché a quel punto la questione quella era, non altre. Ci penso un po' e decido di no.

Da allora non ho più cambiato idea, anzi, la lettura di Nietzsche ha dato il colpo di grazia al cavallo già morto della mia fede, con buona pace del furbone con la barba bianca.

Il quale ogni tanto mi appare, o almeno ci prova: nella sublimità di certi dischi, nelle linee di certe fanciulle, ma niente: continuo ad attribuirle all'opera del genere umano, imperterrito.

Oppure prova ad apparirmi in certe accoppiate cielo-paesaggio davanti alle quali, però, mi viene da dire più "madoooonna..." o "ggiesù!" che non Dio. Quindi...

Di persona, mai: e sì che mi metterebbe in difficoltà: intanto dovrei capire quale delle tre persone ho davanti (a occhio dovrebbero riconoscersi, ma hai visto mai...), e poi a quel punto le cose sarebbero due, ovvero o ho sbroccato, o esiste.

Ora magari si giustificherà dicendo che tanto è tutto deciso, che se nel Libro è scritto che io non devo avere la fede non ce l'ho, che non si scomoda di persona per un miscredente qualsiasi, che alla fine cazzi miei, che il libero arbitrio, che ecc, che bla...

Tutte scuse, barbùn, sei come Dylan: non ci sei.

E tra i due, preferisco lui, che due volte dal vivo, almeno, l'ho visto (e scrivila Just Like A Woman, furbone, se sei tanto bravo).

lunedì 12 maggio 2008

Izz camin

Bon.

ci siamo.

concentrazione...

un respiro profondo....

neuroni in avvio....

pronti?

partenza?

via, oggi però no.

non me va.

appena ci SONO, inizzio (sì, iniZZio) sta storia del blog.

sarà a breve:

izz camin.....