venerdì 22 maggio 2009

PRO COCCINEA JOHANNEI - In difesa di Anywhere I Lay My Head.


Lo so che è passato qualche mese e ormai non è più argomento caldo, ma io a mettermi a scrivere sono lento; dunque provvedo ora a dedicarmi alla nobile attività di sprecare neuroni e battute per difendere i passatempi di una miliardaria.
L'argomento infatti è Anywhere I Lay My Head, il disco di Scarlett Johansson che, dice la rivista Ciak!, "il popolo di Internet ha stroncato". Ma era davvero così tremendo?

Cominciamo intanto col dire che il popolo della rete è fatto dalle stesse persone del mondo reale: non è quindi chissà che autorità, è come appellarsi al verdetto del pubblico che, visti gli orrori con cui infesta le classifiche del mondo reale, dimostra di possedere buon gusto per la musica in misura MOLTO limitata.
Non vedo quindi il motivo di citare come importante l'opinione di questo popolo -ma plebe sarebbe meglio- se non per leccargli il c... ahem, ingraziarseli in quanto lettori (o perché detto così sembra un giudizio collettivo quando in realtà il Guardian e sentireascoltare, per esempio, ne hanno parlato bene).

E a giudicare da com'era stato presentato, il disco sembrava mirare proprio a un pubblico di babbei presuntuosi e superficiali, ovvero a un pubblico odierno (non che in passato fosse tanto meglio, ma si limitava per lo più a essere bue: ora ci ha aggiunto anche la presunzione, tanto per stare meglio) cui offrire il massimo del cool: la bella star di Hollywood, che però suona con musicisti più o meno indie, interpretando le canzoni di Tom Waits, il cantante taaanto profondo e taaanto raffinato, con la presenza in 2 canzoni di David Bowie a rendere più affascinante il tutto.

Sia chiaro: Tom Waits raffinato e profondo lo è davvero, ma qualcuno ricorda l'odioso personaggio maschile nel terrificante trailer di (credo) Il Tempo Delle Mele 3?
"Ekkikkazzo l'ha visto?", direte giustamente voi (tra l'altro si chiamava così solo in Italia, perché c'era Sophie Marceau, in realtà il titolo originale era L'Étudiante e con gli altri due non c'entrava una beata).

Il film non l'ho visto neanche io, ma nel trailer c'è un frammento di scena in cui il protagonista, dopo che SM gli ha detto che ama Tom Waits, tutto sorpreso di aver incontrato un'anima gemella in un mondo tanto brutto e gretto, dice "ma come, anche tu ascolti Tom Waits?" sottointendendo che quindi ANCHE lei è un'anima bella e sensibile (col vago, insopportabile sottointeso di lui sul trono che approva: "però, da te non me l'aspettavo che fossi intelligente, invece hai visto? via, va', l'esame l'hai passato, me sa che poi esse pure bona pe' qualc'altra cosa oltre che chiavare, posso concederti qualche pezzettino della mia preziosa anima perché, pat pat, tutto sommato te lo sei meritato"); per di più con una faccia come se lei avesse detto che leggevano lo stesso oscuro poeta birmano del '300: vabbè che Tom Waits è particolare, ma all'epoca erano già 15 anni che faceva dischi per grosse etichette, non era mica il nipote segreto di Fraccazzo da Velletri.

Comunque, questo era per dire che citare TW per mostrarsi raffinati è facile, fa figo. Però ascoltare davvero i dischi è un altro paio di maniche: quelli da Swordfishtrombones (1983) in poi, infatti, non lesinano di certo melodie e passione, ma abbondano anche di pentole, voci gracchianti, minimalismo strumentale, dissonanze, estetica della bassa fedeltà, con un risultato non proprio per tutti i palati. Sarò o sarò stato ignorante, sarà che non ne conoscevo ancora altri, ma io al primo ascolto volevo tirare Frank's Wild Years dalla finestra; poi qualcosa mi disse di riascoltare con attenzione e ora lo adoro, ma l'impatto non fu facile, e vorrei vedere quanti tra gli ammiratori di Scarlett troverebbero facili non solo i dischi della seconda fase, ma anche la rasposità da night club di quelli degli anni '70.

Anywhere I Lay My Head sembrava perciò l'uovo di Colombo: ammantare canzoni belle e di spessore, e con fama di spessore, di una veste "amichevole", che ne smussasse gli angoli e le rendesse appetibili sia per un pubblico incapace di concentrarsi su qualcosa per più di 10 minuti e che non vedeva l'ora di sdilinquirsi a cantare Time guardando, romantico e compiaciuto della propria profondità up-to-date, le (ragguardevoli, peraltro; va detto) tette dell'attrice; sia per i supermercati e per tutti quei momenti che in tv serve la canzone "bella" ma di una bellezza commestibile e assolutamente poco impegnativa.
Così un altro tipo di furbetti, decisamente più profondi ma in questo caso a sproposito, sospettando che le dichiarazioni d'amore della Johansson nei confronti del buon Tom servissero solo a dare una parvenza di onestà a un'operazione del genere (consapevolmente o meno poco importa), si sono affrettati a dichiarare che non l'avrebbero mai ascoltato perché troppo intelligenti per cadere in queste trappole dell'industria discografica.

Ora, è vero che l'arte di raggirare il consumatore ha visto da tempo fiorire i suoi Leonardi e i suoi Michelangeli e probabilmente li ha anche superati di brutto; che le sòle ti aspettano col coltello tra i denti a ogni angolo; e che un mondo come quello dell'arte e dei media, nel quale la sincerità viene venduta come valore (commerciale) prezioso, dev'essere ipocrita per forza - e definirci "consumatori" è il raggiro più grande di tutti; è tutto vero, d'accordo, ma qui dimentichiamo 2-3 cose.

Una è che nell'arte, dalla più nobile in giù, conta sì il cosa ma è assolutamente fondamentale il come. Per cui anche dischi pop nati con solida vocazione di meretricio possono essere fatti con arte e gusto, risultando piacevoli, divertenti, d'evasione senza la pretesa d'essere altro e quindi giusti (vedi i dischi di Grace Jones, fatti sì per sfruttare il personaggio, ma realizzati con musicisti, canzoni e risultati di prim'ordine); al limite anche sfacciatamente ipocriti ma con classe (e qui chissà perché mi riviene il nome di Bowie, periodo Let's Dance).

Seconda cosa, gli attori americani non sono come gran parte di quelli italiani, i quali vengono pagati per recitare e non sanno fare neanche quello: quelli americani quando escono dall'actor's studio sanno ALMENO recitare e un minimo cantare e ballare. Parecchi gli esempi: Gene Kelly era attore o ballerino? Entrambi, ovviamente. E Frank "The Voice" Sinatra, non era anche attore? Lasciamo perdere i film di Elvis, Marylin Monroe nei film cantava senza problemi ( e anche per il Presidente...), Bruce Willis personalmente l'ho sentito nominare prima come cantante che come attore, e chiudo con lo splendido Chris Isaak di Fuoco, cammina con me. Ma ce ne sarebbero altre decine: perché dunque escludere a priori che un'attrice possa fare un buon disco?

E il terzo punto è proprio qui: perché a priori? Possiamo essere consapevoli di tutti i meccanismi dell'industria culturale che ci pare, possiamo fare le premesse che vogliamo (e alcune vanno fatte), ma stiamo parlando di MUSICA, di un DISCO, i giudizi si danno DOPO l'ascolto, anzi dopo GLI ascolti (uno, si sa, non basta), non PRIMA.


E cosa ci dicono gli ascolti? Intanto, che il famoso uovo di Colombo è stato lasciato nel culo della gallina, ossia l'operazione commerciale furba NON è stata messa in atto per niente: gli angoli non sono stati smussati, anzi, il suono è davvero a bassa fedeltà, e dal repertorio dell'artista di Rain Dogs non sono state pescate neanche le più famose: quanto a osticità siamo ai livelli degli originali waitsiani, se non peggio. Ecco come perdere subito mezzo pubblico...

L'altra metà si è fatta sconvolgere dalla voce: è noto che la Johansson, nonostante ciò che può suggerire il suo aspetto, ha una voce molto grave. Sul disco usa vari registri, e soprattutto non si preoccupa delle dissonanze: Fanning Street, dove i coretti del Duca non sono lì tanto per metterceli ma rinforzano il crescendo del brano, risulta leggermente sguaiata, sicuramente c'era un modo diverso di cantarla. Ma il gioco sul filo della stonatura di Town With No Cheer è assolutamente azzeccato e dà alla canzone un filo di inquietudine e disagio che ben si accordano col testo.
Falling Down non è una delle mie preferite di Tom Waits e in questa come nella title-track l'impostazione vocale non sembra tanto in linea con la canzone.
Ma questi semmai sono errori del produttore: la Johansson come cantante è una 24enne al primo disco, i produttori servono anche a fornire esperienza agli esordienti vigilando con quattro orecchie.
E David Sitek, che strumentalmente ha fatto un ottimo lavoro creando un'atmosfera da circo sgangherato coerente in sé e vicina all'autore, riguardo alla voce un paio di errori li ha fatti: quelli suddetti come anche quello di affondarla troppo tra gli strumenti in brani come ad esempio Green Grass e I Don't Wanna Grow Up - questa danzettara e divertente ma un po' moscia.

Quando però la bionda canta I Wish I Was In New Orleans, per esempio, non dissona né stecca, lo stesso quando canta Song for Jo (che ha scritto lei), il che dimostra che le dissonanze sono scelte, e sono SEMMAI difetti: perché ovvio, i gusti non si discutono né la libertà di non apprezzare qualsivoglia opera di qualsivoglia ingegno e ugola, ma sia chiaro che questo è un disco indie/lo-fi, Hollywood e dintorni non c'entrano niente, appartiene a un genere di cui la maggior parte del pubblico de La ragazza dall'orecchino di perla non ha neanche idea. Siamo piuttosto dalle parti di un Will Oldham/Bonnie Prince Billy, ovvero sull'informale sfrontato, oltre quel regno post-grunge -in mezzo al quale, vista l'età, la Johansson è cresciuta- nel quale la stecca e la dissonanza sono arte, se ne può fare poesia (come nel modello, tra l'altro).
Certo, non è un disco da 9, o da 8: è un buon disco, una rilettura curiosa del canzoniere dell'uomo di Pomona realizzata con qualche incertezza e qualche scelta che non convince - ma come detto, perfettamente naturali nel disco di un'esordiente e semmai da imputare soprattutto al produttore.
Comunque non è certo il disastro di cui hanno parlato in tanti che i disastri ce l'hanno in testa e nelle orecchie.

mercoledì 20 maggio 2009

RIDI, SU

Nel mezzo del cammin di no… STA CEPPA!
Forse perché l’imago de STA CEPPA!
E con la faccia pulita cammini per strada mangiando STA CEPPA!
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e que… STA CEPPA!
Immagine there’s STA CEPPA!
Weeee … are STA CEPPA!
Sapore di sale, sapore di mare, che hai su STA CEPPA!
Il kobra non è una biscia, ma STA CEPPA!
Lunga e diritta correva STA CEPPA!
M’illumino STA CEPPA!
Le donne, i cavalier, l’arme, STA CEPPA!
S’i’ fosse foco arderei STA CEPPA!
Che confusione, sarà perché STA CEPPA!
Ridi buffone, per scaramanzia, così STA CEPPA!
Soffro lo stress, io soffro STA CEPPA!
Essere o non essere, que- STA CEPPA!
Sono il re de STA CEPPA!
Ed io, avrò cura di STA CEPPA!
Napul’è mille STA CEPPA!
Le bionde trecce, gli occhi azzurri e STA CEPPA!
Gira su STA CEPPA! accesi…
Adesso e nell’ora della no… STA CEPPA!

lunedì 4 maggio 2009

AMORE UNIVERS(IT)ALE

Ti incontro ogni giorno a Informatica,
mi sembri parecchio simpatica;
io sono un po’ più letterato
ti invito a venire su prato.
Ti colgo e ti offro un bel fiore
come in un romantico amore,
ceselloti frasi tornite:
mi sorridi a 32 byte,
ti guardo radiosa e ti am
mi occupi tutta la ram,
la più bella sei tra le belle
mi parli in html…
che faccio, dichiaromi? Rischio?
C’è spazio per me nel tuo hard dischio?
di versi ti dico caterve
sovraccaricandoci i server
e se qualche frase è non lieta
allora farò mela-zeta.
Ma adesso dobbiam lascia’ il prato:
il giorno ormai è overclockato.
Vediamoci in altre ore;
ti ho masterizzata nel cuore.
Ti chiedo, fanciulla assai bella,
la password della tua casella:
ti vengo a trovar martedì,
mi muovo via ftp,
ti porto un fiasco di barber
perché io lo so che cy-ber:
col vin chattiam sulle poltrone
browsando le nostre persone;
mi piaci davvero, lo sai?
Noi comunichiamo in wi-fi,
e mentre parliam di frattali,
scopiamo come due animali?
D’amore per te mi sfinisco,
non è rigido solo il disco,
son già tutto nudo e assai cardo
perciò ‘sta poesia ti foruardo.
Ti supplico come un ossesso
ma… tu mi deneghi l’accesso.
Da quanto ti voglio io latro,
ma mi fai quattrocentoquat(t)ro,
mi neghi la carne, your flesh,
ed il mio cervello va in crash.
Mi vedi con il cuore a pezzi
però non ti shifti di un epsilon;
nel mio cuore hai fatto danni,
ma ciononostante mi banni.
Deluso ti volto la nuca:
stasera mi è andata Face-buca…
le lacrime sulle mie guanc
riprovo con control-alt-canc.
20/2/2009