martedì 29 settembre 2009

Parmi un pardi

Pòre parole,
impure periron.
Parer potrebbe
pera per porco:
però un parà
non per eroe.

20 settembre 2009 circa

Altro che Nostradamus: fumetto profetico

Un vecchio articolo del 2002 scritto per Made in U.S.A. online ma mai pubblicato. Rispetto ad allora, la Planeta-DeAgostini ha preso il posto della Play Press come editore della DC Comics in Italia, pubblicando parecchio ma, ahimè, non la Suicide Squad. Della quale peraltro sono uscite all'inizio degli anni 2000 un paio di nuove serie negli USA, una delle quali ad opera proprio di Ostrander: in Italia non si sono viste neanche queste, ma visto che nel 2011 dovrebbe uscire un film tratto da questo fumetto magari prima o poi pubblicheranno qualcosa.


Scena: Manhattan. Titolo della storia: “Battleground: Manhattan”. Svolgimento: Dopo una panoramica sul cuore della Grande Mela, accompagnata da didascalie che parlano del suo grande potere ma anche della sua fragilità, un gruppo di supercriminali comincia a seminare morte e distruzione tra la popolazione. Alla fine della loro azione, dichiarano alla tv: “Siamo la Jihad. Ognuno di noi proviene da un paese che è in guerra a causa dell’intervento più o meno diretto del governo americano. Questa notte proverete ciò che hanno provato le nostre terre d’origine”.




Ci fermiamo qui. Qualcuno dirà “Bene, finalmente anche il fumetto americano ha deciso di affrontare i temi politici del momento con coraggio. L’esempio di Authority e degli ultimi X-Men è servito”. Qualcun altro si chiederà se è l’inizio di una nuova serie o un nuovo episodio di quelle appena citate. Qualcuno infine troverà di cattivo gusto l’aver messo sotto la vignetta che raffigura le Torri Gemelle la didascalia “Mecca per alcuni” (riferito a cosa rappresenta l’isola nell’immaginario delle persone), ma in generale gli amanti del fumetto impegnato saranno contenti di sapere che qualcuno ha deciso di parlare del dramma dell’11 settembre in toni un po’ meno retorici di quelli dell’albo speciale dell’Uomo Ragno.


Nulla di tutto ciò: il fumetto in questione è uscito nel settembre del 1988 (esatto, OTTANTOTTO) ed era per l’appunto il numero 17 di Suicide Squad, una serie durata 64 numeri uscita per la DC Comics tra il 1987 e il 1992.


In essa si narravano le gesta di un gruppo di superesseri che svolgevano in segreto missioni “spinose” o delicate e particolarmente rischiose per conto del governo americano. La cosa particolare era che, a parte un nucleo più o meno fisso, i supertipi in questione venivano reclutati ... tra i criminali! Il governo proponeva loro di svolgere una missione e in cambio avrebbero avuto una riduzione della pena.


La premessa è già insolita, ma non era l’unico elemento originale della serie: intanto il funzionario governativo che comandava il gruppo era una donna nera (e grassa, per di più); poi non si sapeva mai chi sarebbe arrivato vivo alla fine dell’albo: i personaggi morivano davvero. Né l’intenzione dell’autore (John Ostrander) era quella di raccontare storie nelle quali il cattivo, messo a lavorare per il suo paese, arrivava a capire l’importanza del bene e a redimersi: i partecipanti alla missione avevano tutti un bracciale che avrebbe fatto saltare loro un braccio se avessero provato a scappare o a toglierselo; quanto al bene, le missioni non erano esattamente quanto di più immacolato (benché nessun membro della Suicide Squad abbia mai tirato missili su un matrimonio...).


Ovviamente, bisogna dimenticarsi del tipico eroismo e dell’abnegazione classica dei fumetti di supereroi: se mai arrivava a manifestarsi qualcosa di simile ciò avveniva per vie strane: il realismo e l’umanità dei personaggi erano tali che, se non erano buoni nel senso classico, non erano nemmeno totalmente cattivi, e nei loro comportamenti poteva sempre trovare posto anche un moto di bontà, fosse sincero o dettato da interessi personali. Tutto ciò rendeva le storie imprevedibili: come già detto, non si sapeva mai chi sarebbe arrivato vivo alla fine dell’episodio (e state tranquilli che non risorgevano ...) né cosa avrebbe combinato un personaggio: le missioni potevano fallire per i più svariati motivi. Nel corso di questa serie abbiamo assistito anche a tentativi di controllo più stretto del gruppo da parte di qualche politico; a membri della Squadra che impazzivano; al capo, Amanda Waller (uno dei più grandi personaggi dei fumetti DC), che a un certo punto finisce per un anno in carcere; e anche alla nascita di Oracolo (le copertine di quei due numeri ovviamente sono di Bolland).


Ma a parte questo, era il clima delle storie ad essere assolutamente peculiare: per fare un esempio, in uno dei primi numeri c’è una scena memorabile in cui Captain Boomerang (un vecchio nemico di Flash, personaggio fisso della serie di Suicide Squad) sta per avvertire un’altra del gruppo che stanno per spararle alla schiena; poi però si ricorda che lei l’aveva umiliato davanti agli altri prima della missione e non la avvisa, lasciando che la uccidano. Non è esattamente il tipo di comportamento cui ci avevano abituato Superman o i Vendicatori ...


Figlia sicuramente di Watchmen e del suo approccio rivoluzionario alla figura del supereroe, ma senz’altro originale per contenuti e toni, visto che per trovare qualcosa di simile abbiamo dovuto aspettare Authority (sia Ellis che Millar), gli X-Men di Morrison, la X-Force di Milligan (nota successiva: anche gli Ultimates, sempre di Millar), questa serie all’epoca risultava decisamente nuova e insolita. Chiuse per disaffezione del pubblico, ma non certo perché le storie fossero scadute di qualità. All’autore Ostrander furono anche concessi sei numeri in più (rispetto a quello con cui avrebbe dovuto chiudere la serie) per chiudere tutte le trame lasciate in sospeso. Fu anche sfortunata: come raccontò Ostrander, l’idea che il governo americano finanziasse operazioni “sporche” e segrete in altri paesi era assolutamente nuova, e per qualcuno avrebbe anche potuto risultare sconvolgente; poi, qualche mese prima dell’uscita del numero 1 scoppiò lo scandalo dell’Irangate, e l’idea della serie ne risultò disinnescata: la realtà era tranquillamente al passo con la fantasia.


È un peccato che in italia questa serie si sia vista poco (qualcosa in occasione di crossovers tipo Invasione e basta), né c’è speranza di vederla ora: già ai tempi in cui la Play Press pubblicava ancora testate da edicola i suoi redattori affermavano che non avrebbero pubblicato “materiale pre-Crisis” (prima) e “pre-Ora Zero” (dopo); e nonostante la loro attuale iperproduzione di volumi da libreria dubito che ne vedremo qualcuno dedicato alle gesta del gruppo di Amanda Waller. È un peccato, dicevo, perché oltre che bella questa serie aveva anche precorso tendenze delle serie attuali. E non solo tendenze, anche elementi precisi: il capo di X-Force, infatti, non è il primo personaggio che storia dopo storia si trastulla con l’idea del suicidio. A parte un personaggio che a un certo punto lo commette davvero, c’è il Conte Vertigo che per gran parte del corso di Suicide Squad medita e riflette se farsi sparare o no da Deadshot; e che squadra suicida sarebbe se non ci fosse stato in ballo qualcosa del genere? E l’ultima scena dell’ultimo numero, giustamente, risolveva finalmente la questione...

mercoledì 9 settembre 2009

4TY 4EVER.

To be forty forever,
perenne quarantenne…
nemmeno troppo scandalo
se vai co’ ‘na ventenne.
Se me ce incontra il padre
forse salvo le penne;
to be forty forever,
per sempre quarantenne.

In testa l’esperienza,
ma anche la freschezza
(pure se la demenza
non appare saggezza);

la sfango di salute
e domino a bellezza
(anche se c’ho la chierica
e non la bianca frezza).

‘st’età la trovo splendida
(un po’ ancor ti dà spleen,
ma quello mai vien meno):
vòi mette coi fourteen?

Sai meglio assai la strada
e vai a tutto gas,
ancora: te lo dico,
forty kicks fourteen’s ass!

Mi piglia un po’ il pensiero
se penso a fine di anno,
ma sul mio ama’ i 40
la cosa non fa danno,

perché la mia passione
per quest’età è assai tanta;
tant’è che la terrei
almen pe’ altri quaranta;

già un po’ so’ fatto con
lo stampo Dorian Gray,
quaranta anni quaranta
anni avere vorrei.

Perché la vita è stronza
ma io la dribblo indenne,
to be forty forever,
per sempre 40enne…