venerdì 14 gennaio 2011

Io Marchionne lo capisco

Se andate dal proprietario di un negozio di panetteria, il quale ha appena scoperto che invece di 100 pagnotte al giorno ora ne vende 74, a dirgli che un'ottima soluzione sasrebbe andare dal suo fornaio, imporgli meno pause, fargli produrre più pane e se fiata licenziato a calci in culo, molto facilmente questo negoziante vi dirà: "Mmm, interessante, lo farei molto volentieri; ma che minchia c'entra col calo delle vendite del pane?"

Giustamente, il proprietario del negozio penserà che ne so, a cambiare gli ingredienti, a vendere anche altro, a farsi più pubblicità, a qualche sconto: a altro, se ha un cervello.

Per questo mi riesce difficile capire Sergio Marchionne e le sue soluzioni dannose e minchion(n)e; a meno che, proseguendo con la similitudine, non voglia togliersi dalle balle il fornaio.

D'altronde, però, invece lo capisco: per rinnovare la ricetta del pane, cioè per innovare la produzione, ci vogliono idee nuove. Ma lui sa benissimo che l'Università la massacrano, metà di quelli che ne escono vengono sbattuti a fare lavori socialmente umili che altro che laurea, sarebbero in grado di svolgerli col 15% del cervello e 40 di febbre (anche perché a casa in malattia non ci possono stare davvero); un'altra bella infornata viene mandata all'estero (con implicita preghiera di rimanerci) e degli altri pochi metà sono incompetenti raccomandati: chi gliele dovrebbe dare, a Minc... Marchionne le idee nuove? 'ndo' le pesca?

Per questo, e anche qui lo capisco, ricicla idee vecchie - ottocentesche * per l'esattezza - sulla gestione della fabbrica: non ha alternative, poretto, quindi prova a spacciare per nuove idee che sono più vecchie dei suoi maglioni (e ce ne vole..).

Sergino è nei casini, poche storie: doveva investire 20 miliardi, ne ha investito invece circa uno e mezzo. Vuol dire che gliene mancano più di diciotto; e diciotto miliardi e rotti sono veramente una vagonata de sordi, se te ne mancano così tanti so' cazzi, altro che pagnotte e cornetti.

Sarà per questo che compra maglioni vecchi?


* Ma qualcuno parla anche dell'epoca delle Piramidi.

giovedì 6 gennaio 2011

Tigri di cartone

Anni fa, mi pare tra il '99 e il 2000, a un certo punto ci fu una notizia che fece un po' di clamore: Tom Waits era entrato nella classifica dei 10 dischi più venduti (parlo degli album: fosse stato un singolo sarebbe stata clamorosa davvero, visto che ne fa pochi e che ha un pubblico più da LP).
Tom Waits, il cantautore di nicchia, in classifica in Italia? Ambelivebbol!
C'era già stato il caso dei CSI poco tempo prima, ma lì poteva sembrare che stessero raccogliendo i frutti di 15 anni di carriera; e poi girava voce che i lettori di codici a barre avessero fatto confusione tra il loro disco e quello dei Verve.
Ma qui nessuna confusione: il buon Tom era tra i primi 10. Com'era stato possibile visto che il disco, pur essendo il primo da un po' di tempo e quindi spinto come un evento, non era esattamente, come al suo solito, potabile musichetta da radio e supermercati?
Semplice: aveva venduto le solite 20.000 copie (mi pare: sto scrivendo tutto a memoria) che vendeva di solito in Italia. Erano gli altri dischi, quelli delle "star", che non vendevano una cippa - o comunque meno di quanto l'enorme spazio ad essi riservato sui media, musicali e non, avrebbe fatto supporre.
Quel pop ipergonfiato, le boy-band da schiaffi, quella massa infinita di scemenzuole moleste in gran parte vendeva poco: bastava un solido Tom per raggiungerli senza problemi.
(i superclassicisti rock di Buscadero fecero notare - immagino con un pizzico di sacrosanta goduria - che certi vecchioni avevano vendite magari non eclatanti ma solidissime, che per esempio gli Stones piazzavano sempre il loro buon numero di copie e che quelle del Boss non erano calate nemmeno quando aveva pubblicato un quadruplo)
Si poteva tuonare contro napster quanto si voleva, ma tante di quelle star da classifica non erano solo musica di plastica dietro facce di plastica: erano perfino star di plastica (o "tigri di cartone", come diceva Mao quando esortava a non aver paura del nemico capitalista), visto che in realtà nemmeno vendevano, non riuscivano a smerciare nemmeno canzoncine facili facili, costruite apposta e spinte a duemila ovunque - dove sarebbe arrivato Tom Waits con un quarto della pubblicità che hanno avuto loro?.

Sta storia mi è tornata in mente due volte, di recente.
La prima è stata quando il primo maggio, consigliato dagli amici di sentireascoltare e insieme a loro, sono andato a Bologna al concerto dei Brian Jonestown Massacre: gruppo USA fieramente indipendente, con un nome che sembra fatto apposta per rimanere sconosciuti, ha riempito il Covo lasciando fuori, dicono, un numero di persone QUATTRO VOLTE superiore a quelle che il locale aveva accolto - e vi assicuro che tanto piccolo non è. E fino a poco tempo fa i loro dischi non avevano neanche un distributore italiano.
Mi sono chiesto cosa vuol dire "famoso", e la risposta forse è che bisogna tornare ad avere, di certi media, l'opinione che si aveva di Sanremo negli anni '70: zero.

La seconda è stata quando ho letto che pare che le pubblicità con Belèn non aiutino a vendere i prodotti che reclamizza. Pure lei sembrava la superdiva/dea, quella talmente bella e talmente figa che doveva PER FORZA comparire in un numero fastidioso di campagne pubblicitarie, e invece altra tigre di cartone, a quanto pare. Ambelivebbol quasi quanto Tom Waits e i Brian ecc...
Parrebbe facile dire ora varie cose:
1) che è bella sì ma che nei toni delle lodi si è un po' esagerato;
2) che chi c@%%0 pensavano di divertire quelle pubblicità con De Sica? (domanda sciocca: quelle con Bonolis e l'altro che neanche nomino vanno in onda da anni…)
3) parrebbe anche facile infierire ora che che è stata detronizzata dallo stesso dio denaro che l'aveva messa sul trono dell'immaginario collettivo;

ma non è quello che mi interessa; anche perché mi sta simpatica da quando, fidanzata con Borriello ai tempi in cui lo beccarono positivo al doping, invece di mollarlo e zitta si schierò pubblicamente a sua difesa dichiarando ai giornali che in realtà la colpa era di una pomata vaginale anticoncezionale che usava lei (pare a causa dell', ahem, impeto del calciatore in certi momenti).
Ora chissà se le faranno fare ancora Sanremo alla nostra simpatica tigretta di cartone: visto l'andazzo me lo auguro, potrebbe essere un ottimo aiuto per rimettere al suo posto quel baraccone festivaliero che è il re di quei media che con la realtà hanno lo stesso rapporto che ha un eroinomane sotto botta tagliata a detersivo scaduto: potremmo scoprire un'altra tigre di cartone...