sabato 16 aprile 2016

LA ZEMANATA ovvero La partita più epica che ho giocato MA SOPRATTUTTO un ricordo di Giordano Liva

Io da bambino a pallone non ci giocavo. Quantomeno, poco: quando capitava, così, ma non ci passavo pomeriggi/settimane/mesi/ecc..., anzi seguivo poco anche il calcio di serie A.
Così, quando intorno agli 11 anni ha iniziato a venirmene voglia, partivo in ritardo - né sbocciò un talento capace di recuperare gli anni di un balzo: ho sempre avuto più testa che piedi e più piedi che fiato, e calcolando che spesso pure la testa funzionava relativamente - nel senso che per lo più in campo sono umorale, agitato e poco lucido - si può capire come i miei anni dell'adolescenza siano stati un discreto catalogo di orrori pallonari.
Non sempre, va detto: la scarsezza mi confinava in porta, dove dopo un po' qualcosa avevo imparato. Ma ero il contrario del portiere affidabile perché, come negli altri ruoli, non sapevo mai che partita avrei giocato: se ero concentrato andava bene, sennò ero capace di qualsiasi cosa (come negli altri ruoli, peraltro). Mentre più tardi scoprii che quello che vorrebbero tutti quando da piccoli o da più grandi giocano a pallone, ovvero stare in attacco, in realtà sia una sòla: quegli altri si divertono passandosi il pallone tra i piedi, a te ne arriva uno ogni 5 minuti con due alternative: o sbagli o fai gol. Nemmeno il tempo di prendere un po' di confidenza con la palla, efficienza subito (e poi pigliano anche in giro dicendo "no, non tornare in difesa, stai avanti che serve il riferimento": come no). Inutile poi fare ciò che ho fatto per anni, ovvero, quando il compagno ha la palla, mettersi in un punto in cui non hai nessuno addosso e lui può passartela senza avversari in mezzo: la notizia che Falcao era forte perché giocava a testa alta deve aver avuto poca diffusione, perché ok, lui era lui, ma prendersi un attimo per guardarsi intorno prima di dare il pallone non sarebbe impossibile. In teoria.
(sto esagerando, eh: accanto alle partite frustranti, tante erano belle e divertenti, sennò avrei lasciato stare).
Chiaramente non sono mai andato oltre le partite con gli amici: a periodi capitava di avere un gruppo di persone con cui si andava a giocare, poi il gruppo si disperdeva, o perdevo i contatti, e finiva lì, prima di trovarne un altro. Nulla però che si avvicinasse neanche per sbaglio a qualcosa di più che questo, e anche tornei praticamente zero.
Ma di queste partite qualcuna, oltre che bella, è stata proprio epica: quelle nel cortile della scuola con la rara neve a Roma nell'85; quella in cui mi trovai davanti un portiere con la maglia della Lazio e, dopo aver provato a segnargli tutta la partita, gli feci un gol direttamente su punizione e poi un altro poco dopo (mi ci sono impegnato, ma malauguratamente una settimana dopo quelli lì hanno vinto lo stesso il campionato: oh, io il mio l'avevo fatto); la prima del ciclo di 5 (a prestazioni discendenti) con gli obiettori; quella in cui NON segnai quello che sarebbe stato il mio più bel gol di sempre che invece mandai sul palo (una partita giocata in fuseaux, non dico altro); quella del campeggio in cui, nonostante fossimo molto più deboli, chiudemmo il primo tempo in vantaggio 2-0 (prima di prenderne 7 nel secondo), ecc...
Ma la più memorabile è una che si colloca nei primi anni 2000, memorabile anche se tanti dettagli li ho dimenticati (e spero di ricordarmi bene quello che racconto). E lo fu per l'andamento, che rifletteva certe partite sciagurate di uno dei miei allenatori preferiti, e perché è stata l'ultima volta che ho visto un amico; ed è stato giusto vederlo così.

Sarà stato circa il 2003: in quel periodo ogni tanto andavo a giocare con un gruppo di amici presso il campo di Colignola, vicino Pisa, a volte a calcetto, altre a calcio a 8 o normale (quella volta mi pare fosse un campo normale).
Non ricordo tutti i presenti di quella sera: tra gli altri c'erano sicuramente i fratelli Andreotti (il più grande, mio amico da tempo, era colui che conosceva e prenotava quel campo), Manfredi, Michele che avevo conosciuto qualche anno prima a Parigi quand'ero andato a trovare un'amica comune e che aveva guidato per tutto il viaggio di ritorno a Pisa perché io non avevo al patente), il Rube e Giordano.
Giordano lo conoscevo perché faceva parte del collettivo di Lettere: tranquillo, sorridente e positivo, impressione nettissima di animo buono, non era uno dei miei amici più stretti - infatti non ricordo mai di essere uscito con lui, o che sia passato a casa mia o cose simili - ma quando condividi l'attività politica, quando hai in comune il fatto di essere nello stesso posto a provare a fare le stesse cose, se non nascono contrasti per motivi di potere o altro (e Giordano non era tipo), sei amico per forza (se una volta si usava la parola "compagno" c'era pure un motivo); e con lui, con quel carattere, veniva naturale.
Quella sera eravamo in squadre opposte, e inizialmente quella in cui ero io dominava: primo tempo chiuso sul 5-0, durante il quale segnai anche due gol - il secondo, un semplice passaggio in profondità che allungai in rete, e il primo addirittura su calcio d'angolo complice una sciagurata uscita dell'Andreotti piccolo (che la toccò anche, ma miracolosamente avevo azzeccato la traiettoria verso la porta e sarebbe entrata lo stesso).
Un dominio totale, quasi come nei momenti migliori delle squadre di Zeman, quando fanno girare il pallone e gli avversari scompaiono dal campo. Nel secondo, però, come certe volte accade pure al Boemo, calammo di brutto (Michele poi dirà "Sì sì, vedi che se correvo come nel primo tempo col cavolo che rimontavano") e cominciò appunto la rimonta. Qualche altro gol lo facemmo, ma per uno nostro loro ne facevano circa 3; e così si arrivò alla svolta della partita, che mi vide ahimè parzialmente protagonista negativo.
Qui la memoria mi aiuta poco coi dettagli, ma diciamo che eravamo su un punteggio che poteva essere o di parità 8-8 o di un gol di vantaggio per loro. Noi come detto soffrivamo da un po', io già mi ero innervosito come al solito (avevo rimostrato con Manfredi perché aveva tirato sull'esterno della rete invece di darmi palla al centro - e lui, come al solito, era rimasto tranquillo: ci ho suonato, fatto n serate da dj e abitato insieme e di pazienza ne ha sempre avuta), quando arriva l'azione-crocevia del match.
E ravamo in attacco noi, e sulla loro linea di porta si era creato un mischione di corpi che si combattevano il pallone tipo "La zattera della medusa", un groviglio dal quale a un certo punto esce il pallone rotolando tranquillo verso il centro area e verso me che accorro famelico e rapace pensando "mo' sfonno la rete". Ma siccome sono un genio,  mentre accorro ho anche la brillante pensata di pensare "ma non tiriamo dritto per dritto, che becco il mucchio delle persone: fammi angolare il tiro"; e il piede, altrettanto brillante, prende l'ordine alla lettera - pure troppo - e spadella fuori un pallone facile facile, sprecando l'occasione che ci avrebbe rimesso in carreggiata col pareggio o col vantaggio.
E mentre ero lì che smadonnavo, non credendo nemmeno io stesso a ciò che ero stato capace di mangiarmi, quasi più stupito che arrabbiato (ma no, ero più arrabbiato; sono così, e il bello è che poco dopo qualcuno, forse proprio Giordano ma non sono sicuro, invece degli insulti che mi avrebbero rivolto per esempio i miei compagni del liceo, mi disse "Oh, stavi per fare tripletta", notando non l'errore ma il fatto che mi ero avvicinato a un bel risultato: niente da fare, quando uno è positivo...);
dicevo, mentre elencavo santi e divinità varie accompagnando i loro nomi con epiteti molto irriguardosi, nel frattempo gli altri avevano rimesso dal fondo, erano partiti in contropiede e avevano segnato il gol che di fatto chiudeva la partita (mancava pochissimo alla fine, forse ce ne fu un altro ma chissà). E il gol, che causa malanimo e distanza dalla mia porta vidi anche poco, lo segnò proprio Giordano con una semirovesciata (o con un simile bel gesto atletico).
Ecco, per dire chi era, mentre correva per il campo esultando, a un certo punto mi arriva vicino e mi dice "Oh, ma hai visto che gol ho fatto?": non prendeva in giro, non veniva a dire "v'abbiamo stracciato" o "tiè" o che; veniva a condividere la gioia di una bella giocata, secondo lo spirito di queste partite che 9 su 10 alla fine non ti ricordi neanche se hai vinto o se hai perso.
Io ero ancora lì a chiedermi come avevo fatto a fare quella brutta giocata, e benché un po' sorpreso gli risposi "sì, sì" anche se, appunto, essendo io nella loro area non l'avevo vista benissimo.
Credo sia stata l'ultima volta che l'ho visto: poco tempo dopo si ammalò di una malattia degenerativa (non mi arrivarono notizie più precise, e il succo era chiaro), che prima lo bloccò a letto, poi nel giro di poco, un anno o poco più, se lo portò via, a circa 25 anni. Malattia stronza, a quell'età ingiusta più che mai (e purtroppo la lista degli amici dal destino simile non si limita a lui e ne annovera anche di più giovani), che non meriterebbe nessuno. Ed è per questo, alla facciaccia di questa vera carognata del destino, che ci tengo a ricordarmelo così, esultante per un gol in acrobazia, sorridente e in piena salute come è giusto per un neanche trentenne.

In sua memoria, è nata un'associazione che aiuta i bambini dei paesi disagiati sostenendo la costruzione di scuole in vari paesi dell'America Latina.
L'indirizzo è qui sotto, ed è un altro modo, anche più utile, di ricordarlo:

mercoledì 13 aprile 2016

11 film di culto

Da uno di quei giochini di Facebook ho tirato fuori una lista di film di culto, film un po' strani e non molto ricordati ma interessanti: ho quindi escluso quei titoli che pur di nicchia sono comunque ben conosciuti dai cinefili (tipo Brazil, L'anno scorso a Marienbad, Lynch e Bunuel in generale, Fight Club, Il servo, Ti ricordi di Dolly Bell? o Febbre da cavallo), per concentrarmi su alcuni un po' meno noti.
Vualà:

-Riflessi sulla pelle (The Reflecting Skin), 1990, Philip Ridley.
Quadro allucinato e paranoico della provincia americana, visivamente bellissimo e con certe scene veramente toste.
-Anima persa, 1977, Dino Risi.
Un Vittorio Gassman immane, ambientato a Venezia: direi che basta.
-Shakespeare a colazione (Whitnail and I), 1987, Bruce Robinson.
In realtà questa storia di due attori squattrinati, che vivono in case come quelle che ho visto all'università, è abbastanza nota, ma è bene ricordarla. Malinconia e risate grasse.
-Repo Man, 1984, Alex Cox.
Intanto, c'è un pezzone di Iggy Pop in colonna sonora. Poi c'è Harry Dean Stanton. E già basterebbe. Poi il film merita anche.
-Buffalo 66, 1998, Vincent Gallo.
Christina Ricci in un personaggio splendido e bella come al solito, alcune scene semplicemente grandiose (il tip tap su Moonchild, Ben Gazzara che fa Sinatra in canottiera et al.).
-La pelicula del rey, 1986, Carlos Sorin.
La storia di un regista che combatte con le limitazioni di budget per portare avanti le sue visioni (e il film che gira, più o meno dice la stessa cosa): in pratica, Orson Welles che gira Macbeth.
-Amici complici amanti (Torch song trilogy), 1988, Harvey Fierstein.
Dettagli me ne ricordo pochi, a parte un protagonista splendido/a e che era un filmone.
-Contenders serie 7, 2001, Daniel Minahan.
L'idea è quella di La decima vittima e che poi verrà ripresa in Battle Royal: Grande Fratello fino alla morte, tutto in diretta. O quasi tutto.
-La maschera, Fiorenza Infascelli
Me ne ricorderò 2 fotogrammi forse, ma lo vidi a Pisa prima di venirci ad abitare e mi aveva colpito come un film particolare, d'una apprezzabile sua stranezza. Vediamo se rivedendolo in dvd quella sorpresa si ripete.
-La città perduta, 1995, di Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet
Una via di mezzo tra Brazil e Dickens.
-Man on the moon, di Milos Forman
Biografia di un attore incredibile, che dice parecchio sulla potenza del silenzio e delle pause nello spettacolo ed è anche interessante la storia della finzione portata fuori dal palco fino ai media.

Buona visione.