domenica 29 dicembre 2013

Crestomazia di saggezze

Per festeggiare il centesimo post su questo blog, ecco qua una piccola collana di perle di saggezza, giuste giuste per ispirare i nostri atti durante l'anno nuovo e sì, famo pure i successivi:

(EDIT: ho fatto qualche piccola aggiunta)


"Un piccolo errore sul piano teorico si trasforma in un disastro su quello pratico"
- Lenin

"Revolution comes in the strangest ways"
- David Bowie.

"La mia timidezza m'incatena"
-Nada

"Ci sono posti al mondo
dai quali non c'è fuga,
stanze come questa nelle quali
restano le nostre rappresentanze,
i nostri uffici doganali"
- PP

"Così suo padre gli fa cenno d'aspettare
e il sindacato gli fa segno di firmare
lui se guarda il cielo, il cielo è un Comitato Centrale"
- Ivano Fossati

"Stay away from the future,
don't tell God your plans
- it's all deranged, no control"
- David Bowie

"And your morning will be brighter,
break the lines
tear up rules,
make the most of a million times NO"
- Bauhaus

"Mi gioco tutto con candore e furia"
- Rettore

"Remember me, I used to live for music"
- Leonard Cohen

"Se questa è la miseria,
mi ci butto con dignità da re"
- Vinicio Capossela

"Oh well, whatever, never mind"
- Kurt Cobain

"Gioco alla pleistescion
ma senza satisfescion
se squilla il cellulare
faccio un po' di conversescion"
- MGZ

"Ma intanto..."
- Laura Palmer

"If there's no future, how can there be sin?
We're the flowers in the dustbin"
- un Johnny Rotten in vena di teologia urbana

"Non mi interessano i consigli per gli acquisti
io resto in casa ad ascoltare i miei dischi
non mi interessano i bollini della spesa
saranno anni che non vado più in chiesa"
IoCarlo - L'ego

"Come piccoli giganti,
fuorilegge ma
sarà così
che diventeremo uomini"
- Matia Bazar

"Gli squali non mi avranno mai"
- Piotta

"Le dolcezze
sono come
le amarezze"
- P.P.

"Lontani dal mondo
portati dal vento
non chiedermi dove si va"
- Kerouac? No, Pupo!

“E’ giusto che tu possa essere te stesso, e se qualcuno ha qualcosa da ridire mandalo a fanculo"
- Quel punk del padre di Tiziano Ferro, quando il cantante ha rivelato di essere omosessuale
(anche se da qui non si capisce se l'abbia detto il padre o il manager)

"Cosa pretendi da un paese
che ha la forma di una scarpa?"
-Skiantos

"Tu parlavi difficile
come fa l'Europa quando piove"
- Paolo Conte

"Soffro lo stress, io soffro lo stress
sono stanco e fuori forma"
- Velvet

"Intorno a un piano
c'è sempre gente che fa baccano
ci sono occhi che si cercano
ci sono bocche che si guardano"
- Paolo Conte

"Ci vuole calma
e sangue freddo"
- Luca Dirisio

"Capenna? Conobbi un Arturo Capenna... Capenna... Capenna...
Sicuro! Alla Corte di Vienna! Sicuro... sicuro... sicuro…"
- Guido Gozzano

"La terra è di destra,
l'universo di sinistra"
- Stefano Benni

"Life is meant to be more than this
and this is a bum trip"
-Lou Reed

"La cambio io la vita che
non ce la fa a cambiare me"
- Patty Pravo

"E' un paese, l'Italia,
che ci ha rotto i coglioni"
- un sintetico Marco Masini

"We are vain and we are blind
I hate people when they are not polite"
- David Byrne

"Largo all'avanguardia. pubblico di merda"
-Freak Antoni

"Be my love,
we will be gods on nite flights
with only one promise,
only one way to fall"
- Scott Walker

"There's a bit of magic in everything
and then some loss to even things out"
- Lou Reed

"Sinceramente non tuo"
- P.P.

"Gl’Ignoranti odian le Lettere, e non le posson vedere; e perché non le posson vedere, per questo le odiano: ché se le Nottole avessero occhi con che mirar fiso nel Sole, Nottole non sarebbon, ma Aquile."
- Daniello Bartoli

domenica 15 dicembre 2013

PIÙ COOL CHE ANIMA(L)

Questo piccolo carme metropolitano-postmoderno è pensato come una canzone: la musica dovrebbe essere un electrofunk quadrato, tipo certi Big Audio Dynamite, mentre il testo dovrebbe essere declamato ma senza tanti eccessi, né brechtiani né MGZ né, soprattutto, quei cantati tra maniaco sessuale e pazzo del rock italiano.


PIÙ COOL CHE ANIMA(L)

Ai piedi Sorropago
in cuffia gli Ex-Otago
occhiali scuri e passo mezzo figo, mezzo drago.

L'aperitivo bitter
i follower su twitter
ritorno un poco piccolo col cioccolato Ritter

M'allumo namarbòro
con gesto bello boro
non scrivo né c'ho il fisico come un Apollodoro

Converso a dita e touch,
forse ci sto too much
giustiziano Gheddafi in strada, scrivo "Limortac..."

Alto il transumo d'alcool
tra le 7 e le 2:
pure nelle metropoli
viene allevato il bue.

Novembre già ci scass
che sta a arriva' crismàs,
me fa senti' meno cristiano del capo di Hamas.

Pallotta poi Tohir
fo orari da vampir,
la noia, c'ho du scatole che sembran due menhir.

Desolazione-Hopper
mi pippo un po' di popper,
divento settebello, briscola e napoli a coppe.

Il breakbeat techno-house
dalla disco son raus,
balla l'umore, ogni ora mi fa una curva di Gauss.

Ambienti poco belli
manco Bret Easton Ellis
descrive orrori uguali agli orridi grandi fratellis.

Cervelli zitti e cosca,
stasera l'aria è fosca,
la luna è nera come quella che dà Cloris Brosca.

In strada niente light,
uno da solo sbrait,
oggi e domani neri, pure crismas poco white.

giovedì 28 novembre 2013

Osteria numero uno



L'osteria è, com'è noto, luogo di convivio alcoolico, improntato ad un'informalità noncurante di freni inibitori linguistici o comportamentali: le risa e i canti (ma anche le liti) cui ci si abbandona spinti da Bacco, infatti, sono improntati in genere ad uno scarso rispetto dei concetti di "limite" o "misura", sono per definizione sfrenati, come indicano le espressioni "linguaggio / battute / canzoni da osteria", con le quali si intende indicare che la loquela è piuttosto scurrile e l'argomento è di quelli che il pudore vuole di solito esclusi dalle pubbliche conversazioni (i.e. riferimenti sessuali e/o corporali).

Ma le "osterie" sono anche un tipo di composizione popolare nata in questo spirito, nella fattispecie strofette (anonime come composizione e diffuse oralmente come genuina tradizione popolare vuole) con una musica e una forma precise: non si possono definire come un genere letterario/canoro vero e proprio (si trovano infatti spesso raccolte sotto l'unico nome di "Canzone delle osterie"), ma hanno appunto una forma ben codificata, ancorché semplice e duttile (da qui il successo).

Probabilmente non sono neanche nate proprio nei locali da cui prendono il nome, sembra piuttosto un'operazione letteraria consapevole, ancorché popolare, che ambienta nelle osterie qualcosa scritto in quello spirito, con quel tipo di umorismo: un umorismo crasso e popolano, che denuncia la propria origine geografica romana non solo nel dialetto in cui sono composti i versi, ma anche nel modo in cui spesso si accanisce irriverentemente contro il clero.

Operazione letteraria o meno, però, ciò non toglie che alcune di queste composizioni sappiano cogliere situazioni social-esistenziali in pochissimi versi e con estrema precisione nonché grande capacità evocativa.

Qui vogliamo analizzarne una, proprio la numero uno (che non è la prima visto che esiste, e in molte varianti, anche la numero zero), procedendo dapprima ad un'analisi generale della forma di queste "Osterie", poi verso per verso.

Dicevamo della semplicità e della duttilità di questa forma poetica: il verso infatti è l'ottonario, ossia il più facile e cantabile (da "Qui comincia l'avventura / del signor Bonaventura" a Tom's Diner passando per Margherita, se ne trovano esempi a vagoni), e la musica su cui vengono cantate è quella dell'introduzione de I Watussi di Edoardo Vianello - ma qui non sappiamo se venga prima l'uovo o la gallina.
La strofa invece è composta da quattro versi: i primi due, sorta di "fronte", vedono un incipit sempre uguale eccetto che per il numero o il nome dell'osteria in cui si presume sia ambientata (o raccontata) la storia che seguirà (appunto "Osteria numero..."), cui segue un secondo verso, in rima col primo, nel quale si enuncia la situazione. Entrambi, a causa del tono sospeso richiesto dalla natura introduttiva dei due versi, sono seguiti da un contrappunto che consiste nell'onomatopea "para-ponzi ponzi pò", ripetuta dopo ognuno dei due e abbandonata nei successivi.
I quali, anch'essi in rima tra di loro, sono quelli in cui di solito esplode la comicità - vera o presunta - rivelando il paradosso o l'eccesso della situazione o volgendola verso esiti o linguaggio sconci (ma a volte si parte già dal secondo verso, vedi una delle varianti della numero mille o l'irripetibile "Osteria del Vaticano").
Il componimento poi, sull'onda delle risate suscitate (anch'esse vere o presunte), si chiude con una sirma, o coda, facile e sempre identica, ovvero "dammela a me biondina, dammela a me biondà".

Nel primo verso dell'osteria in questione, come detto, ci si limita a enunciare il nome o il numero dell'Osteria:

Osteria numero uno

(apparentemente di poco conto, in realtà l'incipit svolge la funzione di assegnare un numero/titolo al componimento stesso).
Nel secondo

a casa mia non c'è nessuno

si enuncia la situazione: in questo caso, a prima vista, banale, con un verso che sembra a basso tasso di informazione; c'è però un dettaglio che alla luce del seguito acquista rilevanza e su cui torneremo.
I versi finali li leggiamo insieme:

c'è mi' nonno in mutandoni
che se gratta li cojoni

cui segue la suddetta coda "dammela a me" ecc... e che è irrilevante ai fini dell'analisi.

Fine; ma con che rara potenza icastica questi due versi finali descrivono un mondo!
Il mondo di un povero signore anziano, escluso ormai dal ciclo produttivo, che gironzola in casa sopraffatto dalla noia di una vita talmente vuota che l'attività più rilevante della giornata consiste appunto nell'assolvere a una funzione tanto banalmente corporale e quasi automatica quanto proverbialmente simbolo appunto di tedio da inattività.
Due versi che già a una prima lettura squarciano un universo; ma guardando ai dettagli si colgono ancora più a fondo i termini drammatici della situazione.
"A casa mia", ad esempio: chi parla è per forza il nipote (chiama l'anziano "nonno"), e se il nonno è in mutandoni a casa vuol dire che abita lì, perché i nonni, quando vanno a trovare i figli/nipoti/parenti vari, di solito si vestono eleganti, secondo gli antichi dettami del costume dei dì di festa. Si tratta dunque, quasi sicuramente, di un vecchio vedovo - quindi ancora più solo, che non ha più neanche una casa propria (o la giurisdizione della sua, se sono i discendenti ad essere andati ad abitare con lui).
I "mutandoni", poi, costituiscono un dettaglio rivelatore di molteplici elementi: in primis, col loro essere capo d'abbigliamento di un'antichità quasi grottesca avviliscono ulteriormente l'immagine dell'uomo, rafforzando al contempo quella di anzianità fuori dal tempo che lo definisce.
Ma oltre ad essere anche indicativi della sua esclusione dal ciclo produttivo (è in mutandoni, oltre che in casa, perché non deve vestirsi per andare a lavorare), se ci si riflette bene possono suggerire un quadro di disagio urbano ancora più marcato.
Per stare a casa in mutandoni, infatti, anche a Roma c'è bisogno che sia estate (in Sicilia potrebbe bastare una primavera avanzata, ma a Roma ci vuole l'estate); e se è estate, la casa potrebbe essere vuota perché la famiglia è partita per le vacanze, lasciando a casa il povero vecchio che ormai è considerato un peso; abbandonandolo nella solitudine delle città agostane, costretto in casa mentre la famiglia si rinfresca al mare e lui, siccome la tv come ogni anno ha detto che gli anziani non devono uscire nelle ore calde, non può manco andare arbarétto (il vino fa male, soprattutto d'estate, e poi probabilmente il posto è chiuso per ferie) né a guardarsi due operai che scavano una buca per strada come da buona tradizione di pensionato (anche perché nelle ore calde magari manco lavorano).
Un drammatico squarcio di desolazione urbana, al cui centro c'è questo pover'uomo del quale, nel secondo verso, si dice "nessuno", a sottolineare ancora di più la bassissima considerazione in cui il capitalismo avanzato tiene coloro che non sono più in grado di nutrire l'economia moderna con la sua natura di vampiro delle energie umane.
In pochi versi, un trattato di sociologia che non rinuncia alla potenza di sintesi del linguaggio poetico.

Certo, è un quadro ormai invecchiato: tutto questo infatti era vero (o più diffuso) prima della crisi.
Oggi invece il valore economico del nonno nella famiglia si è accresciuto, e il nipote lo guarda come colui che lo salva grazie alla pensione (maturata in tempi in cui il lavoro veniva tartassato un po' meno che non nei tempi neomedievali odierni), pensione da cui escono quelle occasionali elargizioni che per il giovane precario costituiscono provvidenziale boccata d'aria a soccorso delle sue finanze ballerine.
Ciò non toglie che la scena, ancorché (ma non del tutto) passata d'attualità, sia stata delineata con rara precisione ed evocatività.

Lode dunque all'osteria: non solo quella in cui si annegano i propri dispiaceri, quanto la forma poetica capace di restituiirci immagini di vita contemporanea storicamente determinate, ma vivide e potenti.
Prosit! (o: dammela a me biondina, dammela a me... ecc...)

venerdì 1 novembre 2013

Ultrascienza -> magia

Se è vera la teoria delle stringhe, come sembra, e se l'ho capita bene, cosa più improbabile, in pratica tutto l'esistente sarebbe collegato, sarebbe in continuità.
Per cui, lungo questo continuum sarebbe possibile inviare impulsi dal proprio cervello alla realtà circostante, magari ordinandole di cambiare: certo bisognerebbe prima risolvere dettagli non secondari tipo il come mandarli e il linguaggio in cui mandarli in modo tale che i riceventi li accolgano; ma trovati quelli, sarebbero dunque possibili cose che per la vecchia fisica sono pura magia.

Io ogni tanto provo a condizionare la realtà circostante pensando intensamente a ciò che vorrei, ma gli esiti sono scarsissimi.

Ste stringhe me sa che so' slacciate.

domenica 27 ottobre 2013

Sunday evening, and we're crying

Devo "ringraziare" gli organizzatori della tournée italiana di Lou Reed del 2006, i quali ebbero la brillante idea di far viaggiare lui, 64enne, su un pullman anche di notte, costringendolo a dormire -poco e male- seduto: in questo modo, quando arrivò a Firenze per il concerto era stravolto e poco disponibile (il ben noto caratterino, peraltro non aiutava), e così un saluto cortese ai due presidenti del sito italiano, Daniele e Paola lo fece, ma a noi del forum che eravamo arrivati un po' prima del concerto no.
Così non ho avuto l'occasione di conoscerlo: avrei voluto ringraziarlo per la grande musica, i grandi dischi e i grandi testi, per l'evoluzione positiva che aveva dato al mio gusto musicale - e non solo: quell'approccio ha detto tanto a me e ad altri (chi ha capito la bellezza raggiunta con tre cose in croce, almeno) - e magari fargli qualche domanda.
Insomma, mi avrebbe fatto piacere scambiare qualche parola con un musicista che ascoltavo dall'85 grazie a una cassetta che avevo chiesto alla buonanima di Felice, cugino di secondo grado che sapevo essere fan di lui e di Bowie, e al quale avevo allora chiesto compilation dei due, che conoscevo a frammenti (da un certo punto in poi, ascoltare Lou Reed era anche un modo di ricordarlo).
Da allora era stata una presenza forte tra i miei ascolti, era nel gotha personale, e se dovevo scegliere 3 gruppi uno erano gli Stones, l'altro i King Crimson e poi i Velvet Underground.
A un certo punto avevo anche scritto insieme all'amico Brunero una versione teatrale di Berlin per il suo gruppo di teatro amatoriale (3 repliche, alla prima c'era il Teatro Rossini di Civitanova Marche pieno: piccole ma splendide soddisfazioni), e non per caso il regalo di laurea che mi fecero gli amici fu il cofanetto dei Velvet Underground.
Forse non gli avrei raccontato della tradizione che avevamo io e mia sorella di ascoltare la domenica mattina la c-90 con VU & Nico da un lato (e Who's Next dall'altro, per completezza); o di quando l'amica Francesca morì improvvisamente e per giorni ebbi fissi in mente alcuni versi del capolavoro Magic and Loss, nel quale traeva dal lutto poesia altissima; o di quant'era bella Piazza dei Cavalieri a Pisa con un faro che proiettava su uno dei bei palazzi che la circondano l'ombra sua mentre cantava il tardo capolavoro Vanishing Act.
Forse nemmeno di un pomeriggio da 17enne quando mi trovai a lenire un momento di angoscia adolescenziale accanto allo stereo con Rock'n'Roll da Rock'n'Roll Animal, benedicendo quella musica che dava il titolo alla canzone e al disco: e quale altro pezzo poteva essere? D'altronde quelli sono i sensi del rock: uno questo, cioè accompagnarti da giovane mentre cerchi di capire come metterti davanti a sto pianeta del menga in cui sei capitato; l'altro, la condivisione.
Riguardo alla quale, grazie al suddetto forum italiano di Lou Reed ho conosciuto una serie di persone splendide, lì e su quello di Bowie (cui arrivai appunto da quell'altro). Anche qualcuna molesta, certo, ma that's life, bro, e per i primi accetto i secondi.
Nulla, non l'ho salutato, se non quando 2 anni fa a Pistoia lo vidi live per l'ultima volta: cantava bene come mai, ma fisicamente arrancava, e pensavo che difficilmente lo avrei rivisto in tour. Alla fine ne ha fatto un altro ma non in Italia, e così il saluto è stato quello.

E dunque ciao e grazie ancora di cuore.
Sono contento che una serie di amiche siano infine riuscite a vederlo, sono contento che abbia chiuso la sua discografia col controverso Lulu (altra provocazione), soprattutto, sono contento di averlo conosciuto e ascoltato per tutto questo tempo.

"There's a bit of magic in everything
and then some loss to even things out"

Voglio ricordarlo con quest'altro tardo capolavoro, particolarmente adatto:


E con quest'autoritratto sbarazzino:





Goodbye, mister.


giovedì 24 ottobre 2013

L'Ikea a Pisa: due parole, due mappe

Circa due anni e mezzo fa, a Pietrasanta, fu inaugurato un nuovo punto vendita della catena di elettronica Trony. L'apertura fu pubblicizzata distribuendo a tappeto in tutta la zona il consueto volantino che reclamizzava grandi offerte e prezzi convenienti.
Intorno a quei giorni, sentii un barista di Viareggio che parlava con un suo amico dicendogli "Ma hai visto il volantino? Ma mica convengono quei prezzi: c'è giusto un televisore che conviene ma il resto per niente". So che un barista non è una fonte di quelle indiscutibili, e personalmente non verificai, ma non era un concorrente e parlava con un amico, per cui deduco che i prezzi li avesse effettivamente analizzati e che dicesse una cosa sensata.
Pietrasanta per chi non lo sapesse è in Versilia, sull'Aurelia un po' sopra Viareggio. È un piccolo centro, ha un grande parcheggio dietro la stazione, e proprio a brevissima distanza dalla stazione c'è il punto in cui era sorto il negozio.
Nonostante la vicinanza del treno, però, il giorno dell'apertura fu il caos: non solo le file all'entrata, ma anche l'Aurelia bloccata per ore dalle macchine (vedi questo articolo), nonostante offerte non clamorosamente convenienti (pare), un grande parcheggio e per un negozio che non è male ma alla fine non è neanche enorme.

Si dirà che ormai l'elettronica va di moda, che se vogliamo qualsiasi cosa che usiamo alla fine è un computer e che quindi di certi negozi c'è richiesta.
Al riguardo, sono andato a guardare la mappa dei punti vendita delle 4 catene di elettronica di consumo più note, almeno a me, e ne ho ricavato questa piantina:


Ho circondato in bianco Pietrasanta per mostrare dov'è, non ci ho messo il Trony in questione per mostrare meglio, e nella cartina mi sono fermato prima di Firenze, limitandomi alla zona più o meno costiera.
Per capire le distanze reali, tra Viareggio e Pisa sono circa 23 km., e le altre di conseguenza: diciamo che ecco, in zona non mancavano davvero i negozi di questo tipo.

Certo, si trattava dell'inaugurazione, ma intanto per un negozio di elettronica in una zona che ne è piena è andata in tilt l'Aurelia.

Ora spostiamoci poco più giù, a Pisa, dove da anni si parla dell'apertura dell'Ikea e ora, dopo un primo momento in cui l'ipotesi era aprirla in una zona a nord (più o meno quella colpita dall'alluvione di Natale 2009), si è deciso - diciamo così - di spostarla più a sud, e a marzo 2014 dovrebbe aprire.
Siamo sempre sull'Aurelia, la strada di cui si parla qui, e in effetti confermo che a Roma una via Marmorata qualsiasi è più larga della suddetta consiliare.
E dopo aver ricordato che l'elettronica è diffusa, ma i mobili economici per la casa di più, è il caso di guardare un'altra mappa:



Il bacino di utenza del negozio pisano, per viabilità e geografia, comprenderebbe una fascia che va da sopra La Spezia fino a Grosseto e si spinge per un po' verso l'interno. E già Pisa, coi suoi numerosi studenti e le case in affitto a loro rivolte, con conseguente necessità di ammobiliarle, basterebbe.

Ora, a parte i danni agli altri negozi di mobili della zona (che già se la passano male), che nella concorrenza potrebbero starci, e a parte che mi ci servo anche io e se ci fosse stato già nel 2009 mi avrebbe facilitato una serie di cose, detto questo la domanda è un'altra:
l'avranno pensata bene la viabilità? Siamo sicuri che l'Aurelia reggerà l'urto di un tale bacino di pubblico? Avranno considerato tutto o prima i soldi, poi i soldi poi basta?
Il timore, e l'alta probabilità, sono quelli di scene apocalittiche di caos, ben peggiori di quelle pietrasantine.
Tanto per non fare paragonY.

martedì 1 ottobre 2013

Boldr-illa: du' forchettate d'orgoglio

Come ferve il dibattito cultural-antropologico nell'era del web, eh?
Sembrava che internet fosse il festival e il tempio delle ultraminchiate, il trionfo dell'idiozia superficiale, e invece...
Invece i dibattiti rimbalzano, si linkano l'uno all'altro in un mix che comprende tutto: il femminicidio, la pubblicità, le sue rappresentazioni stereotipate e superficiali, la Boldrini, le famiglie finte e quelle vere, la pastasciutta, i matrimoni gay, i ruoli legati ai sessi, la ridefinizione degli stessi. E chiaramente più ferve il dibattito più alto è il numero delle boiate che volano, ma ci sta: è il prezzo di un buon fermento di riflessione, è accettabile (a patto che ogni tanto magari voli anche qualche idea intelligente).

Detto che tra le scemenze poco centrate, molte vengono da chi non distingue la gentilezza dalla schiavitù (tipo lui) o da chi confonde una cosa fatta per premura da una fatta perché il sesso, la condizione o il ruolo lo vorrebbero "naturalmente", rimane il fatto che è un dibattito complicato, in un'epoca in cui le identità sessuali si trasformano senza aver ancora raggiunto una fisionomia definitiva, con incertezze e crisi di ritorno indietro.

Io dico solo una cosa: se uno vuole ritirare fuori l'orgoglio maschile non lo fa certo mettendo una schiava in cucina o alla lavatrice. Anzi.
Intanto perché se la tua virilità dipende dal non toccare mai una pentola o un detersivo vuol dire che è ben poca cosa (diciamo anche: ce l'hai esistenzialmente piccolo, ecco).
Ma poi: senza scomodare Losey e il suo celebre film, chi si circonda di servi è ben poco padrone.
Nel senso che il maschietto che si crede tanto virile perché si fa cucinare e lavare da una donna, e che anzi trae orgoglio dal non saper proprio fare certe cose, è un poveraccio e uno schiavo: è quello che prima si è fatto servire da sua madre e quando si è cercato una donna ha cercato un rimpiazzo, un'altra serva.
E finché per mandare avanti casa dipendi da qualcun altro, finché o c'è la serva o sei perduto, schiavo lo sei davvero: sei ricattabile, non hai autonomia, e - tanto per non essere grezzi - le uniche palle che hai sono quelle per cui ti tengono (per tacere dello squallore di una relazione basata su questi presupposti).
Si dirà che ognuno è libero di fare quello che vuole, anche accettare di dipendere da qualcun altro, affari suoi.
Ok, benissimo: io dico che le incombenze di casa in una famiglia si dividono, equamente e senza adottare ruoli stereotipati e superati ma piuttosto usando realismo, senso pratico e consapevolezza delle predisposizioni e delle abilità personali, ma appunto ognuno fa come vuole, se per qualche oscuro motivo gli piace così.
Anzi, se non fosse che questo implica spesso che in questo modo altri(e) NON fanno quello che vogliono, gli direi pure buon divertimento.
Se non fosse.

mercoledì 10 luglio 2013

Er papa

L'amico Luigi, viareggino, ha scritto su Facebook che ci vorrebbe un Belli o un Trilussa che scrivesse un sonetto che dice "Er papa se n'è annato a Lampedusa", ed ha aggiunto "non 'il Papa': ER papa".
Io non sono né Belli né Trilussa  - ma nemmeno Zanazzo; però, vista la loro assenza mi ci metto io a scriverlo.

Ecchelo:

PAPA CECCO.


Er Papa se n'è annato a Lampedusa
a da' 'na mano e 'n ame a chi ssa mmale:
era la prima escita sua ufficiale,
e la destinazzione è poco usa.

E 'nfatti ecchela subbito l'accusa
che parla bbene, sì, bell'ideale,
ma governa' è diverso, e ar criminale
je devi fa' trova' 'a porta chiusa.

Mo, nun lo so si 'sto papa Bergoglio
è pe' davero 'n'anima pia e retta
o è 'n genio daa comunicazzione;

ma 'ntanto pò risponne con orgoglio:
"Pur'io ho sofferto fame e privazzione,
e annai pur'io in mare su 'na caretta".

*****
2: "Ame": amen. "ssa": sta.
3: "Escita": uscita.
5: "Ecchela": eccola.
11: "Daa": della.
14: "Caretta": carretta, come nell'espressione "le carrette del mare" per indicare i barconi dei profughi.

domenica 12 maggio 2013

M'HANNO DANNO


Non m'han mozzato a machete in Ruanda
o fosforato di bianco a Falluja,
non m'ha bruciato il ne-pizz-io una banda
né deportato in una notte buia.

Non m'han volato in manette dal plano
né missilato la casa con scuse,
non vivo in terre assetate e rinchiuse
né a ricino fo il saluto romano.

Non m'hanno in camere a gas sterminato
né m'han democratizzato a cannoni:
vivo, non stento nel Biafra di fame.

No: qualcuno m'ha sfatto, e poi è scappato,
la macchina ferma, tutto qui: amen…


…però quanto me girano i coglioni…

martedì 9 aprile 2013

TUTTO AZZECCATO, BABY.

Piantiamola un po' coi piagnistei e i complessi: quello che abbiamo sempre detto era...


TUTTO AZZECCATO, BABY.


In quei palazzi dov'è opaco il vetro,
palazzi grigi-cemento e -potere
dove l'intento è tetro
ma, pur nascosto, si fa ben vedere,
nulla si salva, non certo l'umano
di cui rimane niente:
chi li abita e comanda ne è lontano,
chi ne è regnato è cifra solamente.

Sono anni che è così, tipo duecento,
da prima dei partiti
(poi in altri tristi palazzi ingrigiti),
da quando solo qualche movimento
diceva già questo, che era evidente
a chi non è cecato,
lo dicevamo ed era, chiaramente,
tutto azzeccato.

Che quel po' di ricchezza, bricioline,
che viene dal mercato
tanto mondo, primo e terzo, alla fine
l'avrebbe sangue e catene pagato;
che ogni rapporto umano
sarebbe diventato un'altra merce
che segue, come l'oro - ma anche il guano -
le sozze del mercato leggi e lerce
- e non è strano,
specie dopo che il buon Karl l'ha spiegato:
ovvio perciò che, altro che ulivi e querce,
noi invece avevamo azzeccato,
baby, tutto azzeccato.

Che dopo aver risistemato
l’Italia anche sui monti col fucile,
che dopo avere il ventennio archiviato
darsi a dei maneggioni baciapile
significava 40 di bile
per 40 anni lo abbiamo sgolato;
che la novità social(iber)ista
t’avrebbe fregato;
e passar poi a un cumenda piduista
saccente e liftato,
sarebbe stata cosa invero trista,
tutto azzeccato;
che rimpiazzarlo dopo co' un banchiere
(che io vorrei sapere
davvero a chi piace)
che la politica fa con l'orbace,
sarebbe stato identico a cadere
dalla padella nella brace;

che la deregulation
imposta a ferro e forza
t’avrebbe dato poca satisfaction;
che lanciarsi nella demente corsa
a presunta ricchezza
che doveva venire dalla Borsa
e dalla sua stoltezza
sarebbe risultato una schifezza;
quella contrattazione
dove corre un cavallo iperdopato
e il ricco vince i soldi del coglione,
dove la sola redditizia azione
è starne lontani: tutto azzeccato.

Che dal crollo del Muro
un cavolo ci avremmo guadagnato,
che iniziava un periodo ben più scuro
l'avevamo gridato;
con buona pace di Edo Bennato
che invece s'è affrettato
a rimettersi a fa' il predicatore
(ma dopo: bella forza) e ha "rinnegato",
cantando più che altro con livore,
la logica, però, e chi gli avea dato
parecchio, ossia quel pubblico impegnato:

tutto azzeccato, Edo,
tutto azzeccato.

E adesso che le banche
ed altre delinquenti istituzioni,
che i re delle palanche
ci tengono stretti per i coglioni
(non solo, ma anche
con l'intenzione seria di strizzare:
cosa non nuova, ma ha un lungo passato),
che ne diffidavamo
mi tocca ricordare,
e che anche ciò, di ciò che dicevamo,
era tutto azzeccato.

E basta vergognarsi, diamci un tajo,
per qualche - lo so, tragica - idiozia
combinata da qualche macellaio
che più che del movimento operaio
è nella storia della psichiatria:
rimestare, a che serve?
Certo, di errori abbiamo accumulato
caterve,
tra cui cadere, al voto, nelle spire
del capitalismo ben temperato -
cui almen possiamo dire
di non aver mai davvero abboccato -
qualcosa speriam d’avere imparato;
resta che ciò per cui abbiamo lottato
sempre, era azzeccato tutto,
baby:
tutto azzeccato.

domenica 24 febbraio 2013

Voto Winston

Ingroia è il candidato peggiore: la coalizione era partita cercando partecipazione dal basso e invece è arrivato il nome mediaticamente forte, tra l'altro vagamente manettaro (quella sinistra apparentemente più interessata alle questioni legali-giuridiche che a quelle sociali, anche se nel programma alla fine sono entrate anche quelle). Qualche proposta, poi, non convince.

Il peggiore tranne Vendola, prosecutore di quel bertinottismo molto lirico stilisticamente quanto prosaico nelle alleanze con un PD che c'entra poco con quello che almeno sostiene SEL. Non dimentichiamo poi anche qui un certo verticismo (dal modo in cui Bertinotti dirigeva il partito alla scarsa tolleranza democratica, vedi l'abbandono del PRC dopo aver perso un congresso), nonché la riproposizione di un accordo col PD già disastroso due volte per il modo in cui fu preparato e condotto.

Ma ancora peggio è un PD che si ricorda - e nemmeno tanto spesso - di essere di sinistra solo quando vede la mala parata, per il resto appoggia Monti, è pieno di liberisti (e di gente che appoggia l'abolizione del valore legale del titolo di studio, ovvero la pistola sulla tempia dell'Università pubblica) oltre a tutte le altre che ha combinato. E raccontano che se la loro ala sinistra prende voti faranno un po' più i socialisti. Mah.

Ma è peggio ancora l'ultraliberista Monti, non solo alleato coi democristiani di destra tipo Casini e co., ma è uno che è stato messo al governo a forza perché sobrio, tecnico e bravo a risistemare i conti e che si è dimostrato un buffone (vedi certe uscite sue e dei suoi ministri), NON tecnico e che ha risistemato ben poco, visto che la sua austerità deprime l'economia. L'orrore.

E forse peggio ancora il ducetto Grillo, che per tre cose giuste sull'ambiente e tanta gente di buona volontà mette insieme demagogia e una serie di balle cosmiche (il signoraggio, la biowash, le uscite razziste), oltre ad avere una serie di seguaci invasati che danno veramente ai nervi, oltre a un'idea di democrazia interna tutta chiacchiere e tanti dubbi.

Sicuramente ancora peggio è la grottesca adunata di buffoni incompetenti e maneggioni, per di più con mentalità e atteggiamenti da bimbetti costituita dal PDL: si spara sulla croce rossa con loro, mi limito a dire che se avesse un minimo di decenza stavolta avrebbero saltato il giro. Invece Sirvio tira fuori l'ultima truffa da baraccone mentre fa il puro dopo aver votato per un anno tutto Monti.

E peggissimo sono Casa Pound e destrame vario, che fanno gli amici del popolo dopo che storicamente hanno sempre fatto gli sgherri del capitalismo prestandosi come manodopera per il lavoro sporco contro i partiti e i sindacati che i lavoratori li difendevano davvero, non come loro a chiacchiere che, quando va bene, sono copiate male dai nostri discorsi e dalle nostre analisi e comunque inseriti in mezzo alle peggiori idee espresse dall'umanità: in pratica i soliti fascidemm*§*a, ripuliti per modo di dire (e come fai?).

Churchill diceva che la democrazia è il peggior sistema politico possibile, tranne tutti gli altri che sono molto peggio.
Ecco, Ingroia sarà anche un pessimo candidato con tutti i difetti possibile, ok: ma è il peggiore tranne tutti gli altri.

giovedì 14 febbraio 2013

Le scoperte di quest'anno a Sanremo

A Sanremo hanno finalmente scoperto lo ska. Certo, ce l'avevano portato già gli Statuto tanto tempo fa (Abbiamo vinto il Festival di Sanremo) e i Bad Manners tantissimo tempo fa, ma ora è nel DNA dei cantati e degli orchestrali.
C'è anche tutta un'aria vintage, melodie anticamente allegrotte, dalla Molinari (piaciuta) ad Annalisa (inaspettatamente originale, per essere di Amici), da Gazzè allo swinghino di Cristicchi e altri: sembra di essere a Canzonissima.

Anzi, a questo punto: Ska-nzonissima.

mercoledì 6 febbraio 2013

L'ARTE È ROTONDA (e segue un moto di rivoluzione).

Domanda: calcolando che c'è una corrispondenza tra gli anni più divertenti della mia vita e quelli in cui non seguivo per niente o quasi il calcio (non dico causalità: dico corrispondenza), perché mi capita ancora di accalorarmici?
In teoria, chissenefrega: non vivo in una situazione in cui tifare una squadra ha significati sociopolitici, e bandiera e appartenenza a) li riservo al socialismo b) in certe forme sono roba da militari e quindi fuck.

È che nei suoi momenti migliori considero il calcio una forma d'arte: disciplina umana che richiede sapienza, visione e creatività. Si può fare anche in maniera anonima e meccanica, ma ha anche possibilità appunto d'arte.
E sull'arte ho idee ancor meno moderate che in politica: mi piace quella che azzarda, quella improntata alla stranezza e alla forzatura dei canoni, quella "demente", quella che cerca l'armonia dove non sembra esserci, o che se ne inventa una nuova. Non dico oltranzismo-sempre-e-comunque, perché apprezzo anche la bellezza di una creatività semplicemente leggera e arguta, o una poetica armonicamente compiuta e soprattutto la bellezza della classicità piena -che però è sempre feconda (se uno guarda dietro le cristallizzazioni da manuale/cartolina nasconde sempre spunti interessanti) e sicuramente quando comparve era rivoluzionaria, oltre al fatto che nella sua armonia superiore c'è l'immagine di quell'armonia collettiva e individuale che si insegue con la rivoluzione.
Perché è tutto collegato, e se una canzone o un libro non bastano di sicuro a farti assaltare il palazzo (e tantomeno una partita), è pur vero che un pensiero rivoluzionario non lo aiuta un'arte accomodante, pigra, timorosa, addormentata sui binari del consueto per convenienza o paura della disapprovazione (benché esistano artisti rivoluzionari che però nella vita sono conservatori, e rivoluzionari veri dai gusti artistici timidi).
Perché se la rivoluzione parte innanzitutto da una liberazione mentale, 'sta mente va scossa, spinta, tirata.
Per questo mi piaceva Zeman (e anche perché sono cresciuto con la Roma di Liedholm, che del bel gioco faceva una religione, e al riguardo anche negli anni successivi l'AS Maggica vantava una buona tradizione di scommessa [e non di calcio-scommessa, come invece qualcun altro] sul nuovo, vedi Eriksson e Spalletti): audacia e bellezza, calcio non opportunista ma con una visione diversa.

[anche troppo: non per lui, ma perché si è diffusa la strana idea che siccome azzardava allora doveva essere perfetto (quindi i rimproveri che "non vince", come se ogni anno non ci fossero una ventina abbondante di allenatori che NON vincono nulla), nonché il curioso dogma dell'onnipotenza di Zeman, per cui qualsiasi cosa combini la squadra è colpa sua (strano perché di solito ai dogmi ci credono i fedeli, a questo invece credono i detrattori), dimenticandosi che lui è strano, ok, è pure un personaggio, ma alla fine è un allenatore come gli altri cioè con pregi e difetti, con un suo tipo di gioco che è adatto a certi organici e ad altri meno, tutto qui]

Questi sono i motivi per cui mi piace.
Il culto romantico dell'artista genio e incompreso? Lo slancio verso l'utopia?
Balle: sono un materialista dialettico, il romanticismo c'entra zero, sul culto degli artisti mi sono espresso qui, e l'utopia vagheggiata come sogno bello e irrealizzabile la lascio a quella malaugurata e dannosa categoria di persone che tutte le sue aspirazioni al meglio le confina nel reame dell'ideale, dell'irrealizzabile, finendo così, nel concreto e nel quotidiano, per calarsi le braghe davanti a tutto il peggio: tanto il cambiamento è utopia…
Nella canzone che gli ha dedicato, "La coscienza di Zeman", Venditti fa una cosa del genere dicendo: "il sogno non si realizza quasi mai" - che potrebbe sembrare realistico e conseguente agli indubbi limiti dell'essere umano.
Beh, io invece rispondo con Gaber e il suo "un uomo concreto come un sognatore", e ribatto che "umano" è l'appellativo che Majakovskij usa come lode somma a Lenin, uno che insieme a Marx l'ha piantata con l'utopia ideale e si è messo ad analizzare le condizioni concrete e reali per il cambiamento, per la rivoluzione.
Perché l'utopia è il quadro, l'idea generale verso cui muoversi, ma tocca mettersi a lavorare sul reale per metterla in pratica, perché si può, perché volendo si vince.
E che c'era di più saggiamente realistico che farsi sostenere una rivoluzione, sia pur calcistica, dai soldi dei capitalisti americani (quando uno dice "sporcarsi le mani…")?
Certo, il realismo avrebbe dovuto imporre alla dirigenza italiana di guardare alcuni dettagli tipo appunto la realtà.
E cioè: dopo lo scudetto del '42, in 71 anni la Roma ne ha vinto uno con un altro utopista come Liedholm (che al primo anno arrivò settimo e lo scudetto lo vinse al quarto) e uno con Capello (al suo secondo anno -al primo lo vinse alazzie- e però con campagna acquisti da bancarotta) poi BASTA, non è che li perde solo quando arriva Zeman; che le altre volte che lo ha sfiorato era sempre con allenatori dal gioco originale (unica maniera per supplire - e manco sempre - alle minori disponibilità economiche e al minor potere a palazzo); che la Juve ha sbagliato 4 campagne acquisti negli ultimi anni, prima di rivincere; che Inter e Milan ancora non hanno ricostruito a dovere la squadra; che hai una difesa di ragazzini sudamericani più un nazionale spompato dall'europeo e un Burdisso ultratrentenne, inadatto a quel gioco e reduce da un infortunio tosto; che due anni fa è finita la squadra che era stata quasi uguale per tutti i secondi anni 2000 e che la stai ricostruendo; che anche quando hai soldi le squadre si costruiscono col tempo; che quest'anno hai visto il più spettacolare campionario a memoria d'uomo di errori individuali in difesa (più qualcuno degli arbitri, un po' degli attaccanti, e il buon Murphy appostato con la carabina) - e sì, qualcuno anche di Zeman, ma anche tanti momenti di gran gioco che ben promettevano per il futuro.

Invece lo hanno licenziato, mossa con cui la dirigenza italiana ha dimostrato sia poco realismo sia poco slancio verso l'arte e verso una rivoluzione che sarebbe stata soprattutto culturale: vincere senza svenarsi in campagne acquisti da sceicchi e attraverso la bellezza (e temo che il problema per il sistema/mercato calcio fosse e sia proprio l'eventuale vittoria di un'idea del genere).
Soprattutto poca convinzione nelle proprie scelte, quasi paura.
Tra l'altro, mettendolo in discussione prima ed esonerandolo poi hanno anche dato troppo potere ai giocatori nonché confermato l'idea, del tutto delirante, che siccome Zeman è un allenatore "strano" allora avrebbe meno autorità di un altro, allora lo puoi discutere: boh… questi non sanno nemmeno quello che m'hanno insegnato a 16 anni per fare l'animatore/custode di bimbetti ai campeggi dell'YMCA: che esistono situazioni, e una squadra è una di quelle, in cui l'autorità non deve mai mostrare crepe e/ dissensi, altrimenti perde di efficacia (perché il sospetto di una mezza rivolta della squadra aleggia...).

Niente, quindi delusione: il ritorno di Zeman alla Roma lo aspettavo da 12 anni, perché ci tenevo che la squadra per cui tifo (ma a questo punto con molto meno entusiasmo) si facesse promotrice di una rivoluzione se non altro culturale, guidata dalla e diretta verso la bellezza.
(e dico culturale perché le persone temo siano tutti una banda de destri senza speranza, a parte un paio tra i quali NON c'è Zeman: al riguardo, possibile che dobbiamo sfigurare davanti a quel destro de Sirvio, che quando prese Sacchi dalla serie C, davanti alle prime difficoltà andò negli spogliatoi a dire "l'allenatore è lui, pure se andiamo in serie B"? Così si difende una scelta).

E invece nulla: la rivoluzione ha perso un'altra battaglia.
E ha perso anche un po' l'arte.

mercoledì 9 gennaio 2013

Buon Compleanno, Duca!

Breaking news!!!!
(stavo per scrivere Breaking Glass)

Nuovo disco per David Bowie: The Next Day uscirà a marzo | News | SENTIREASCOLTARE 1.0


Evidentemente stimolato dalla poesia che gli ho dedicato qui, Bowie ha pubblicato oggi la notizia del nuovo album e il video del nuovo singolo (nonché la canzone stessa in versione digitale, acquistabile sui soliti canali):


Una sorpresa vera, visto che non pubblicava praticamente nulla di nuovo dal 2003 dell'incerto Reality, il quale peraltro si chiudeva con quel capolavoro di Bring Me The Disco King, il cui testo era uno struggente e magnifico addio che ben avrebbe chiuso la sua storia discografica (e l'infarto avuto verso la fine del tour seguente ha rischiato di piegare la vita all'arte: morire sul palco dopo aver inciso il proprio estremo saluto).

Già, l'infarto: da allora silenzio, tranne sporadiche apparizioni live e collaborazioni più qualche foto rubata che lo mostrava casalingo. Era andato in pensione? Si dedicava solo alla pittura? Era gravemente malato, come circolava voce, anche più che dei postumi dell'infarto? E il post sul blog di Robert Fripp nel quale il chitarrista parlava di Bowie al lavoro sulla musica andava preso sul serio?

Dieci anni di domande, che investivano non solo la carriera di Bowie ma anche qualche questione più generale sul rock.
Da una parte ci si chiedeva questa pausa che senso avesse: è come Billy Joel, che quando pubblicò il suo disco di pezzi strumentali per piano confessò che non scriveva una canzone da 10 anni? O come gli Stones i quali, seguendo quella legge per cui col procedere della carriera i dischi si diradano, avevano fatto passare 8 anni tra Bridges To Babylon (1997) e A Bigger Bang (2005)? Loro però in mezzo ci avevano messo un'antologia e una tournée, e segnali di vita comunque ne davano; Bowie? Difficile da capire, manca una casistica (penso da anni che il rock'n'roll sia ancora troppo giovane per fornirne una con leggi riconosciute su cosa fa un cantante rock da vecchio: se il r'n'r will never die, come da profezia di Neil Young, avremo tempo e ci vorrà il tempo di veder morire di vecchiaia 3-4 generazioni di rocker per poter capire come funziona).
Lui sembrava semplicemente aver smesso, anche per un motivo legato alla poetica e al suo modo di fare come l'aveva sempre messo in atto.
Nel senso che questa poetica era fatta di un mix tra la sua bravura come autore di canzoni e un fiuto abilissimo nel cogliere le tendenze più interessanti che si agitavano nell'avanguardia, intercettarle quando ancora erano note solo ai più attenti, rielaborarle a modo suo e renderle popolari al mondo, indicandole come strada possibile (vedi Low, per dire il più eclatante, ma anche l'operazione sulla black music di Young Americans o il modo in cui, dietro alla facilità spaccaclassifiche di Let's Dance insinuava elementi new wave - ma quasi tutti i suoi '70 seguivano il copione).

Questo aveva fatto sì che i momenti peggiori della sua carriera fossero quelli in cui la penna era carente, ma soprattutto quelli in cui arrivava in ritardo sulle tendenze e/o non interveniva nel processo di creazione dei dischi con i suoi noti stakanovismo e intuito, come per sua ammissione succedeva negli anni '80 (decennio passato a portare le canzoni ai produttori facendo lavorare loro, mentre lui andava alle feste; e fatte poche eccezioni non erano nemmeno le migliori canzoni).

Di qui l'importanza della tanto vituperata esperienza Tin Machine, con la quale invece tornava in sala prove, in studio, a discutere e a creare, come quando registrava Ashes To Ashes litigando col batterista per farsela suonare in controtempo come voleva lui, e come farà a partire dal primo album post-Tin Machine, Black Tie White Noise, nel quale il produttore Nile Rodgers (quello degli Chic) lavorerà sulle direttive di Bowie e non regnando sovrano come ai tempi dell'altra collaborazione (su Let's Dance).
Coi Tin Machine, poi, ricominciava a guardarsi intorno, cogliendo nell'aria che arrivava dagli USA una voglia di ritorno al rock (che tra l’altro lui stesso aveva manifestato - e fallito - con Never Let Me Down, 1987): il gruppo non coglie gli elementi di novità che il grunge portava con sé, ma sta di fatto che una delle popstar simbolo degli anni '80 vira al rock aggressivo due anni prima che Nirvana e Red Hot Chili Peppers riportino in classifica le chitarre elettriche, il fragore e la durezza.

Da lì in avanti, pur non tornando a essere un faro come negli anni '70, sarà capace di cimentarsi bene con le tendenze circostanti: il jazz funk del succitato Black Tie (1993), l’ispirato e personale mix tra il proprio stile e l'elettronica del momento nel capolavoro 1. Outside (1995) e quello più "normale" del successivo Earthling (1997, qui la scrittura bowiana e il suono del momento si accostano bene ma ognuno per conto proprio, senza l'efficace fusione del precedente).

Da lì in avanti, benché non sia agevole parlare di uno "stile bowie" dopo tutti i cambiamenti e le sperimentazioni della sua storia, torna ad una sua classicità pop-rock, che mantiene in filigrana vari elementi del suo passato (soprattutto in Heathen, 2002, dove perfino i suoi anni ’80 risuonano positivamente qua e là; meno interessanti e riusciti Hours, 1999, e Reality): e lo fa non solo perché una certa "tranquillità" a una certa età sia endemica (e perdonabile, visto cosa aveva dato prima), ma appunto perché, avendo sempre funto da radar delle nuove tendenze, si aveva l'impressione che nemmeno lui sapesse orientarsi in un mercato discografico e in un mondo musicale sempre più ipertrofico e frammentato, che aveva praticamente rinunciato a una gerarchia tra correnti principali e secondarie cui rapportarsi in qualche modo, sia pur polemico. Come se non sapesse scegliere da quale delle mille tendenze partire (né era il caso, per vari motivi, che si accodasse al revival 80s che dominava nel decennio).
Al riguardo, poco tempo fa aveva circolato anche la voce di un suo interessamento alla musica cinese (che come sguardo in direzioni inattese non sarebbe stato manco male…), bissato poco tempo dopo da analoghe dichiarazioni da parte di… Baglioni (fare tendenza, sia pure così, evidentemente è un vizio).

E così si arriva al suo 66esimo compleanno con la notizia bomba del nuovo singolo e del nuovo album (e conseguente rinnovo del sito, abbandonato per anni a una mal invecchiata grafica Reality-style), bomba soprattutto perché arrivata a ciel sereno, cosa inaudita nell'epoca dei leaks e della comunicazione globale istantanea e ennesima dimostrazione di autonomia; e così qualche risposta è arrivata.



I sound and vision del nuovo singolo dicono già parecchio, proviamo a riassumere per punti:

1) Lo stile è quello pop da star adulta, realizzato con gusto e ispirazione, che ricorda un po' il cabaret decadente della vecchia The Shadow Man: non sarà un nuovo classico ma rispetto a come il pop lo faceva negli ’80, o a Reality, qui c’è un’altra eleganza. Niente musica cinese o incursioni nel dubstep (ma su questo bisogna aspettare l’album), solo un rifarsi al suo stile con mano disinvolta, le sperimentazioni come echi lontani ma impliciti; un procedere senza un’audacia che nessuno pretende più ma con classe.

2) C’è anche arguzia: il titolo, Where Are We Now? sembra ammiccare alle domande che tutti si sono posti negli anni del suo silenzio e il testo, evocando Berlino, ammicca invece a una fase ben nota e illustre della sua carriera.

3) Nella vaga malinconia retrospettiva che era già del concept di Hours (la cui copertina e il primo video erano basati sul cantante che guarda il suo doppio più giovane, qui ripreso nell'accostamento tra il suo volto anziano e quello della ragazza proiettati su dei supporti che ricordano quelli dell'Earthling tour), il clip di questa canzone è quello che avrebbe dovuto fare Lou Reed per Who Am I, ossia un video-confessione a cuore e rughe aperte, magari in b/n, col testo che scorre, come accade qui: sarebbe stato l’ideale per il doloroso e fiero bilancio esistenziale tracciato nel testo di quel capolavoro tardo del musicista di New York. Magari Bowie non pensava a questo, ma intanto ha colto l’occasione non sfruttata dall’amico.

4) Per chiudere sul faceto, poi, in questo frangente, non posso non ricordare l’utente del forum di www.velvetgoldmine.it detta "stellina", la quale, in occasione di una cena con cover band per il compleanno del Duca disse “qui tutti mi dicono buon compleanno: ma quale compleanno? Oggi è NATALE!” (aggiungendo poi “e dunque il 15 gennaio è Capodanno”).
Una vaga idolatria, ma se ha ragione lei il regalo ai fan (o: devoti) lo ha portato.

E dunque ci siamo: a marzo sapremo tutto, nella speranza che ci scappi anche qualche concerto. Nel frattempo, buon compleanno, Duca!
(o: buon Natale).